La questione in realtà è molto semplice: sulla questione Mes, che insieme al nodo sulla governance per la gestione dei fondi del Recovery sono le due spade di Damocle pendenti sull’esecutivo, si tratta di realpolitik. A ognuno la sua: per Conte è la tenuta governo o comunque un problema di equilibri politici (il capo dello Stato Mattarella stavolta non accetterà tentennamenti di sorta della maggioranza), per il centrodestra, sul No al fondo salva Stati, in ballo c’è l’identità e la coesione della coalizione e infine, per il Movimento 5 stelle, c’è un serio rischio che dai malumori si passi ad una vera e propria frattura insanabile.
E anche qui è più che altro questione di pragmatismo che rifugga da ogni tentazione ideologica (o real politik che dir si voglia): votare domani in maniera contraria alla risoluzione, in occasione delle comunicazioni alle Camere del presidente del Consiglio, che dà mandato al governo di confermare la revisione del trattato sul Mes in sede europea, in un momento in cui il Consiglio europeo di giovedì ha già le sue belle grane, non sarebbe un bel segnale da dare in Europa. Tanto più che con i leader “dissidenti” di Ungheria e Polonia la presidenza di turno tedesca ha usato ieri le maniere forti, lanciando un ultimatum netto: se i due Paesi continueranno sulla strada del veto al bilancio Ue nel tentativo di cancellare la clausola sullo Stato di diritto legata all’erogazione dei fondi del Next Generation Eu si procederà con la formula a 25 al posto del consueto voto unanime di tutti gli Stati membri.
Del resto sulla questione “dissidenti grillini” la reazione non è stata meno dura, dai big 5Stelle sono voltate minacce di espulsione e i retroscena raccontano di un Di Maio particolarmente caustico: “Io non ho alcun problema ad essere rieletto in Parlamento e rifare il ministro, non credo che molti di voi possano stare tranquilli. Se casca il governo, molti non saranno rieletti”, più o meno questo il senso del suo ragionamento. Che non fa una piega, come non la fa il concetto ribadito a più riprese dal reggente Vito Crimi (ma anche dallo stesso ministro Gualtieri):la riforma del Mes approvata dall’Eurogruppo a inizio settimana con il via libera dell’Italia non significa che il nostro Paese farà richiesta dei fondi e in ogni caso la linea di credito creata ad hoc per la pandemia (i famosi 37 miliardi per la sanità) non hanno nulla a che vedere con la revisione del trattato.
Crimi ha ribadito ancora la posizione aprendo l’assemblea congiunta dei gruppi M5s venerdì scorso, dopo che un gruppo di 58 parlamentari aveva inviato una lettera di protesta: il Movimento si opporrà in tutti i modi all’attivazione del Mes, ma non farà ostruzionismo sul pacchetto di riforma. Hanno provato a gettare acqua sul fuoco i due capigruppo a Camera e Senato, Davide Crippa ed Ettore Licheri, ieri a lavoro sulla stesura della mozione di maggioranza: “Nessun muro contro muro. è in corso un confronto, a tratti serrato ma sempre costruttivo, dove a prevalere è la volontà di dialogo. Si sta lavorando per fare una sintesi di tutti i contributi”.
Intanto stamattina alle dieci ci sarà la riunione di gruppo e in un modo o nell’altro la questione sarà definita. Ma il nodo da dirimere è anche sul fronte di Italia Viva, dato che sulla risoluzione depositata ieri a Palazzo Madama sono state apposte le firme dei capigruppo del Pd, del Movimento 5 stelle e di Leu ma manca quella del presidente dei senatori renziani Davide Faraone: non resta che attendere domani mattina, quando, prima delle comunicazioni del premier, sarà depositata un’altra risoluzione, frutto delle trattative tra i partiti di maggioranza in corso in queste ore.