Se entro pochi giorni non si troverà una soluzione, ci sarà effettivamente il rischio di avviare il 2021 senza bilancio Ue il che, a catena, farebbe ritardare l’emissione dei bond anticrisi: è noto come il veto di Polonia e Ungheria sulla clausola dello stato di diritto, che sta bloccando l’approvazione del prossimo quadro finanziario pluriennale stia di fatto bloccando anche il Recovery Fund, che ad esso è ancorato e grazie al quale all’Italia dovrebbero arrivare 209 miliardi (81,4 come trasferimenti diretti e 127 come prestiti).
A sottolineare il danno che i due paesi a “milioni di cittadine e cittadini europei che hanno urgente bisogno di aiuti” per arginare i danni economici provocati dalla pandemia è la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen che, intervenendo ieri alla plenaria dell’Europarlamento in vista del Consiglio europeo del 10-11 dicembre, ha invitato il leader ungherese Viktor Orbán e il premier polacco Mateusz Morawiecki a ricorrere alla Corte di giustizia europea, sede idonea a presentare un ricorso sulla legittimità del dispositivo che condizionerà il recepimento dei fondi Ue al rispetto dello stato di diritto da parte dei paesi beneficiari (che si sostanzia nel rispetto di valori fondamentali come la libertà, la democrazia, l’uguaglianza e i diritti umani, compresi i diritti delle minoranze) invece – afferma Von der Leyen – che “lasciare che i cittadini non abbiano una risposta. Ne hanno bisogno coloro che hanno dovuto chiudere temporaneamente i loro bar e ristoranti e negozi, coloro che vedono la propria sussistenza minacciata, coloro che temono di perdere il proprio lavoro”.
Compresi i polacchi e gli ungheresi, sottolinea la numero uno di palazzo Berlaymont, concetto che sfugge forse ai leader in questione come del resto sembra sfuggire anche al segretario della Lega Matteo Salvini che, per sua stessa ammissione “non capisce il legame tra i soldi che arrivano alle famiglie italiane e quello che fa il governo ungherese”, cioè che per avviare la procedura scritta sull’aumento del tetto alle risorse proprie, necessario per garantire l’emissione dei bond anticrisi previsti dal piano Next Generation Eu (di cui è parte il fondo Recovery) per 750 miliardi complessivi, serve l’unanimità dei 27 Paesi membri. Peraltro il meccanismo di condizionalità dello Stato di diritto che era stato approvato in principio dal Consiglio europeo a luglio e che poi è stato trasposto in un accordo legislativo fra la presidenza di turno tedesca del Consiglio Ue e il Parlamento era stato approvato anche da i Paesi del Gruppo di Visegrád.
“L’accordo sulla tutela dello stato di diritto e sulla protezione del bilancio comunitario – ha aggiunto Von der Leyen – è appropriato, proporzionato e anche necessario ed è difficile immaginare che chiunque in Europa possa avere qualcosa contro questo principio”. Sulla stessa linea anche il capogruppo del Ppe (la famiglia politica a cui appartiene anche Orbàn), Manfred Weber, che ha definito il veto di Varsavia e Budapest “irresponsabile”. “Quando sento le argomentazioni secondo cui la proposta sullo stato di diritto non sarebbe in linea con il Trattato di Lisbona, come dice Orbàn, io la vedo diversamente: rivolgiamoci allora alla Corte di Giustizia e vediamo chi ha ragione. Così funziona l’Ue, non imponendo veti. Il Parlamento europeo non indietreggerà neanche di un millimetro”. Ormai a sostenere la legittimità del veto dei governi di Varsavia e Budapest, con tutto quello che ne consegue, sono rimasti il gruppo conservatore Ecr (a cui appartiene il partito di governo polacco Pis e FdI di Giorgia Meloni) e quello dell’estrema destra sovranista Id (di cui fa parte la Lega di Matteo Salvini).