In Veneto la camorra fa affari da venti anni e ha infiltrato in profondità il Comune di Eraclea, a due passi da Venezia. Con tali convinzioni, nonostante nel marzo scorso non sia stata accolta la proposta fatta al Viminale dalla commissione d’accesso di sciogliere quel consiglio comunale per mafia, il giudice veneziano Michela Rizzi ha condannato 24 imputati che hanno scelto di farsi giudicare allo stato degli atti, alla luce dunque delle indagini che lo scorso anno fecero esplodere il caso dei clan in Veneto, a oltre 130 anni di carcere. E c’è in corso un altro maxi processo a 45 imputati, tra cui il presunto boss Luciano Donadio, in cui sono stati chiamati a testimoniare anche l’attuale ministra dell’interno Luciana Lamorgese e il governatore Luca Zaia.
IL GIUDIZIO. Tra i condannati c’è Graziano Teso (nella foto), prima sindaco e poi vicesindaco di Eraclea, che ha incassato una condanna a tre anni e tre mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Un politico che, passato dalla Democrazia Cristiana all’Udc, aveva infine abbracciato le bandiere di Forza Italia, diventando responsabile azzurro degli enti locali. Sempre tra i condannati ci sono poi le cosiddette mele marce, un poliziotto, Moreno Pasqual, ritenuto amico del boss e anche lui accusato di concorso esterno per aver fornito informazioni riservate al clan, e un’avvocatessa, Annamaria Marin, accusata di aver fatto soffiate su notizie ugualmente riservate a Donadio di cui era difensore nel 2009. Oltre a quelli che sono stati inquadrati come malavitosi di professione, responabili di estorsioni, usura e reati fiscali, ancora una volta condanne per imprenditori che avrebbero fatto affari con i Casalesi trapiantati in Veneto. Un processo scaturito dalle indagini che, a febbraio dell’anno scorso, avevano portato all’arresto dello stesso sindaco Mirco Mestre, civico di centrodestra.
LE INFILTRAZIONI. Secondo gli inquirenti, l’organizzazione criminale, capeggiata da Luciano Donadio e Raffaele Buonanno, si sarebbe insediata in Veneto negli anni ‘90, ereditando le attività un tempo svolte dalla Mala del Brenta, e man mano si sarebbe fatta largo nell’economia locale, dall’edilizia alla ristorazione, senza dimenticare il business nei settori criminali tradizionali come il narcotraffico e lo sfruttamento della prostituzione, l’usura e le estorsioni, ricorrendo pure all’utilizzo di bombe e armi da fuoco per piegare gli imprenditori che cercavano di resistere all’assalto camorrista. E dopo le condanne si riaccendono ora le polemiche sul mancato scioglimento per mafia del consiglio comunale di Eraclea deciso dalla ministra Lamorgese otto mesi fa.
Una decisione dopo la quale comunque la Cgil, in prima file nella battaglia contro il clan che ha messo radici in provincia di Venezia, disse che tale scelta non cambiava “il quadro assai grave della penetrazione mafiosa sul litorale veneziano”. Il sindacato aggiunse inoltre che “la dinamica mafia affari-politica è e rimane di assoluta gravità stante che sono a processo 37 soggetti di 76 imputati con un lungo elenco di reati tipici dell’attività mafiosa”. “Non vorremmo – concluse la Cgil – che ancora una volta in Veneto, nonostante i moniti più volti ripetuti da Francesco Saverio Pavone di cui piangiamo la scomparsa in questi giorni, si finisca per non riconoscere l’aggravante mafiosa dell’associazione a delinquere scoperta dalla attività della Procura veneziana”. Accuse di mafia ora confermate nel primo processo.