Da giorni ricevo gli insulti di persone che mettono in dubbio la mia correttezza personale e professionale, evidentemente persuase dal processo mediatico che mi è stato fatto nell’ultima trasmissione di Massimo Giletti, Non è l’Arena. In quella sede sono stato accusato di aver fatto “il peggior sfregio al giornalismo”, e di questo quanto prima ne riparleremo nelle sedi competenti. Ai miei lettori però ho spiegato subito che rapporti avevo con Buzzi, all’epoca imprenditore di cui non si poteva sospettare l’associazione a delinquere emersa solo successivamente nel processo denominato Mafia Capitale.
Tali rapporti nascono e finiscono in una telefonata, nella quale chiedo le prove di un reato gravissimo, a suo dire compiuto da una giudice del Tar del Lazio. Non ricevendo le carte richieste e dopo altre ricerche personali non scrissi nulla di quanto Buzzi si aspettava, tanto che lo stesso espresse il suo disappunto rivolgendosi poi ad altri giornali. Di questo, ovviamente, nella trasmissione di Giletti non si è detto nulla, mentre la telefonata con quella che era solo una fonte giornalistica doverosamente da ascoltare è stata rappresentata in modo da spingere in equivoco molti ascoltatori, come dimostrano le gravi offese che ricevo. Sempre ai miei lettori ho anche spiegato della frequentazione con Alemanno, più che logica in anni in cui lui era sindaco di Roma e io direttore di una delle più importanti televisioni regionali. Sempre in quell’epoca capitò anche che raggiungesse alcune persone, tra cui ero anch’io, in una breve vacanza, e di questo non capisco ancora perché Giletti abbia voluto parlare, come se ci sia qualcosa che io abbia mai nascosto o di cui mi debba vergognare (l’ho raccontata pure su un libro e in numerose interviste).
I CASI CONTESTATI. Quella di cui non ho ancora parlato è invece la seconda parte del processo tv a cui sono stato sottoposto da Giletti, dove sostanzialmente mi si dà del bugiardo per aver detto che grazie a uno specifico provvedimento del ministro Bonafede sono rientrati in cella tutti i detenuti scarcerati in base alla prima circolare sul Covid emanata dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap). Per dimostrare la mia fandonia si è mandato in onda un servizio sui casi di Giuseppe Sansone e Stefano Contino, sicuramente due “galantuomini”, che però sono usciti dai penitenziari indipendentemente dalla circolare firmata dal dott. Basentini, oltre che dalla volontà del ministro della Giustizia, che pure i bambini sanno essere privo del potere di arrestare o liberare nessuno.
Ma spieghiamo meglio i singoli casi, in modo che tutti possano vedere chi fa buon giornalismo e chi no. Giuseppe Sansone, esponente della famiglia mafiosa dell’Uditore (Palermo) era detenuto a Voghera in regime di 416 bis fino al 16 aprile scorso, quando un giudice ha deciso l’applicazione degli arresti domiciliari per una valutazione che non riguarda solo il rischio Covid, ritenendo assenti “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”. Contro questa decisione il Dap si è opposto, indicando una soluzione sanitaria ritenuta adeguata, e la Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha chiesto formalmente al Gip la rivalutazione degli arresti domiciliari, ricevendo un nuovo diniego per ragioni diverse dalla pandemia.
Ripetiamo: per ragioni diverse dalla pandemia, cioè l’oggetto della circolare del Dap di cui Giletti parla da mesi come di un suo scoop, nonostante lui stesso abbia mostrato in trasmissione che le maglie larghe di quella decisione dell’amministrazione penitenziaria (e non del ministro) erano state già rivelate anche da questo giornale in ben tre articoli precedenti alla trasmissione in cui parlò per la priva volta del caso. E veniamo adesso a Stefano Contino. Condannato il 10 ottobre 2019 a 12 anni di carcere e in regime di 416 bis nel penitenziario di Palermo-Pagliarelli, è stato mandato agli arresti domiciliari il 25 marzo scorso per varie patologie non curabili nella casa di reclusione in cui si trovava, priva di un centro clinico. Contro la decisione di mandarlo a casa, il Dap propose tempestivamente al giudice di sorveglianza la destinazione di Napoli-Poggioreale, ma la Corte d’Appello rigettò la richiesta per motivi diversi dal Covid e strettamente processuali.
Sia il Dap che il decreto di Bonafede avevano dunque funzionato, ma il giudice – con una sua insindacabile valutazione processuale – ha ritenuto che per questo signore andassero bene gli arresti domiciliari, con una nuova valutazione che non aveva più niente a che vedere con il Covid o con la sua incongrua allocazione penitenziaria, ma solo una valutazione relativa alle esigenze cautelari. Alla luce di tutto questo, e dei documenti ufficiali che ho consultato per essere inattaccabile – al contrario di altri giornalisti con meno esperienza (se no bisogna pensare in cattiva fede) – posso affermare che da Giletti si è fatta disinformazione, prima su Bonafede e poi su di me. E questo si commenta da solo.