Gli ex senatori pronti a godere nuovamente del vitalizio ante-2018 recuperando anche gli arretrati non versati in questi due anni dopo il ricalcolo dovuto al taglio degli assegni, dovranno attendere. Ed è meglio che rimettano anche lo champagne al fresco in attesa di tempi migliori e, magari, di pronunce definitive. Dopo la sentenza di poche settimane fa della Commissione contenziosa – il primo grado di giudizio del Senato – che aveva accolto i 499 ricorsi proposti dai 776 ex senatori contro il taglio dei vitalizi, annullando parzialmente la delibera dell’Ufficio di Presidenza di Palazzo Madama che ricalcolava retroattivamente col sistema contributivo l’assegno degli ex senatori, la partita non è ancora finita.
L’amministrazione del Senato, rappresentata dal segretario generale Elisabetta Serafin, ha infatti immediatamente impugnato la sentenza. Presentando, oltre al ricorso dinanzi al Consiglio di garanzia (giudice di secondo grado), anche l’istanza sospensiva del verdetto di primo grado. Istanza accolta ieri dal collegio presieduto da Luigi Vitali (FI, nella foto). Risultato: congelati, fino alla conclusione dell’appello, non solo gli assegni ma pure gli arretrati reclamati dagli ex senatori. Che per i festeggiamenti dovranno quindi aspettare ancora.
Ma su che basi la Commissione contenziosa aveva accolto i ricorsi stracciando di fatto la delibera del Consiglio di presidenza di Palazzo Madama che aveva tagliato i vitalizi? Come raccontato nel dettaglio da La Notizia (nel numero del 10 ottobre) innanzitutto ripescando una sentenza della Cassazione che definisce il vitalizio come “la proiezione economica dell’indennità parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato”. Dunque, ne desume la Commissione Contenziosa nelle motivazioni, “l’assegno vitalizio avrebbe natura giuridica di certa misura previdenziale, anzi specificata in modo non dissimile dalla pensione”. Equiparando, in sostanza, i vitalizi ai trattamenti pensionistici dei normali cittadini.
SFACCIATO PRIVILEGIO. Fin qui la sentenza. Che tuttavia lascia irrisolte alcune evidenti disparità di trattamento tra il regime pensionistico degli ex inquilini di Palazzo Madama e quello dei comuni mortali. La più lampante, relativa all’età pensionabile: se per percepire la pensione un lavoratore deve attendere 67 anni e sei mesi ed aver versato 20 anni di contributi non si spiega per quale motivo un senatore (ma le regole valgono anche per i deputati) dopo aver svolto un solo mandato, e quindi cinque anni di attività, possa percepire il vitalizio a soli 65 anni. Con ben due anni di anticipo rispetto al resto dei cittadini. Ma non finisce qui.
Perché per ogni anno di mandato oltre il quinto viene abbassato il limite di età di 12 mesi. Fino ad arrivare, con due mandati ad incassare il vitalizio già al 60esimo compleanno. E forse è anche per questo che il Consiglio di garanzia ha deciso di accogliere la sospensiva e di prendersi del tempo prima di entrare nel merito di una diatriba che rischia di vanificare 22,2 milioni di euro di risparmi l’anno. Mica noccioline, specie nel pieno dell’emergenza non solo sanitaria ma anche economica innescata dalla pandemia che sta mettendo a dura prova gli italiani.