Augusto Minzolini l’ha spuntata. Dopo mesi di attesa il Consiglio di garanzia del Senato, presieduto dall’ex collega di partito, il forzista Luigi Vitali, ha stabilito che l’ex senatore ha diritto a riscattare la pensione e godere del vitalizio al compimento dei 65 anni di età. Anche se a Palazzo Madama era rimasto in carica meno dei 4 anni 6 mesi e un giorno previsti dal regolamento previdenziale per maturare il diritto alla pensione. Ma non è tutto. Perché la decisione potrebbe produrre un effetto domino: secondo quanto stabilito dall’organo di secondo e ultimo grado, interpretando in maniera estensiva la norma regolamentare, basteranno solo 12 mesi di contributi – e altrettanti in carica – per avere la possibilità di riscattare il vitalizio (versando di tasca propria quanto necessario per raggiungere il montante contributivo minimo di 5 anni) per godere dell’agognato vitalizio.
Ma torniamo a Minzolini. Dopo la sentenza di condanna per peculato, nonostante il Senato avesse votato contro la sua decadenza da senatore, l’ex direttore del Tg1 si dimette a marzo 2017 (“Sono serio, non prendo lezioni da altri”, rivendica in Aula). Dopo aver passato 49 mesi (5 in meno del minimo per maturare il vitalizio) a Palazzo Madama, però, l’ex senatore decide di fare ricorso. “Per 4 anni e 2 mesi ho lavorato in Aula, non sono stato alle Bahamas. Dunque ho proposto tre cose – spiega a La Notizia – o che mi venissero restituiti i contributi; o che venissero versati alla mia cassa previdenziale, l’Inpgi; o come ultima ipotesi che avessi diritto a riscattare il vitalizio”. Ipotesi quest’ultima che, come detto, il regolamento del 2012 (Governo Monti) alla mano, contrasta con il termine minimo di 4 anni 6 mesi e un giorno di legislatura necessari per poter riscattare i sei mesi mancanti necessari ad assicurarsi il vitalizio.
Ma Minzolini non ci sta. Di vanificare i suoi 49 mesi al Senato per quei soli 4 mancanti non vuol saperne. Insieme a lui fanno ricorso anche gli ex senatori, Bartolo Amidei e Laura Fasiolo: il primo, (ex An, poi FdI), subentrato a Pierantonio Zanettin (nel frattempo eletto al Csm) entra in carica nel settembre 2014; la seconda (Pd), prende il posto di Isabella De Monte, che trasloca a Bruxelles, nel luglio 2014. Entrambi, dunque, collezionano circa quattro anni di legislatura, invece dei fatidici 4 anni e mezzo. In primo grado le istanza vengono respinte. Ma ieri, il Consiglio di garanzia, ha ribaltato la decisione della Commissione contenziosa ritenendo “idoneo” il tempo trascorso dai tre ex parlamentari in Senato e riconoscendo loro la possibilità di versare i mesi mancanti di contributi.
“La mia – spiega ancora Minzolini – è anche una battaglia politica e costituzionale: da quando c’è il tetto a 4 anni e 6 mesi le legislature stranamente durano tutte cinque anni, anche quando ci sono crisi parlamentari profonde. Non vorrei che ci sia un condizionamento, che sia compromesso la libertà all’esercizio del mandato…”. Ma il rischio ora è che si passi esattamente all’estremo opposto: la sentenza del “secondo grado” del Senato, infatti, ha stabilito che anche solo 12 mesi sia un tempo congruo per riscattare i contributi e mettere al sicuro il vitalizio. Un passo indietro verso la cuccagna alla quale il regolamento del 2012 aveva, giustamente, provato a dare un taglio.