A lanciare il drastico ammonimento è Guido Bertolini, responsabile del Coordinamento Covid-19 per i reparti dei pronto soccorso lombardi: alla luce della crescita esponenziale della curva dei contagi, “l’unica cosa che si può fare è chiudere tutto, un lockdown a livello nazionale. La situazione nei pronto soccorso è drammatica, non solo in Lombardia, ma ovunque a livello nazionale”. E spiega che “Se vogliamo fermare l’epidemia ora è il momento di chiudere tutto, non c’è altra strada. Se si fosse fatto qualcosa prima, quando lo si doveva fare, si sarebbero potute prendere misure più soft, ma ora non si può più e le misure prese dal Governo sono troppo blande.
Non servono a contenere il fenomeno mostruoso che abbiamo di fronte”, afferma dicendosi preoccupato soprattutto per il fatto che, a differenza di marzo, questa volta “non c’è comprensione di ciò che sta succedendo da parte della popolazione, che non capisce”. Per Bertolini, lasciare aperte le attività “non significa far correre l’economia. Le conseguenze economiche sarebbero comunque enormi lasciando aperto. Chiudere mette in difficoltà tantissime categorie, che la politica ha il dovere e il compito di tutelare. Se si tergiversa ancora, ci troveremo davanti all’irrimediabile”, dice.
Pronto soccorso al collasso, lunghissime attese prima di poter avere un letto in reparto, chiamate al numero di emergenza 112 quasi triplicate e corse delle ambulanze verso gli ospedali non lontane dai livelli di marzo e aprile: è questo il quadro che si presenta sotto gli occhi di medici, infermieri e operatori sanitari lombardi. A Milano, che in primavera era stata investita dalla pandemia in maniera significativa, ne appare negli ultimi giorni travolta. Anche il consigliere del ministro della Salute e professore ordinario di Igiene all’Università Cattolica del Sacro Cuore Waler Ricciardi ritiene essenziale una nuova chiusura totale, almeno per il capoluogo lombardo, ma il governatore Attilio Fontana esclude l’ipotesi almeno per il momento.
A entrare in crisi nelle ultime ore sono stati diversi nosocomi: i pronto soccorso dei grandi ospedali cittadini, dal Sacco al Niguarda, al San Raffaele, al San Carlo, al San Paolo, sono tutti “sovraffollati”, anche con 60-70 pazienti in coda per essere visitati e come sappiamo, questa è una situazione di rischio molto elevata. Stessa situazione anche nell’hinterland, dovuta in parte alla carenza di personale in tante strutture e in parte al fatto che i reparti di terapia intensiva creati ad hoc per i pazienti Covid sono ormai saturi e si stanno riempiendo progressivamente quelli che erano stati preservati per altri pazienti.
“Il sistema assistenziale soprattutto in alcune aree della Lombardia è vicino al collasso. I modelli matematici più accreditati prevedono una crescita degli infetti esplosiva in poco tempo. Solo gli interventi preventivi potranno ridurre l’impatto sulla mortalità della popolazione”, continua Bertolini, raccomandando ai cittadini la necessità di ridurre “al minimo i contatti sociali” e adottare “sempre le più importanti misure di prevenzione: mascherine, distanziamento e lavaggio delle mani. L’aumento repentino dei contagi – continua – ha raggiunto il livello soglia che determina uno stress sul sistema ospedaliero”, che significa “fare i conti con un aumento quotidiano ‘esponenziale’ di malati Covid che arrivano in Pronto Soccorso. Alcuni di loro hanno urgente bisogno di ossigeno per respirare e talora di presidi ventilatori. Ma in molti casi non trovano possibilità di ricovero immediato per l’assenza di letti disponibili e restano per 24-48-72 ore (ma a volte ancor di più) nell’area del Pronto Soccorso in attesa di una destinazione”.