di Clemente Pistilli
L’Enac si deve rassegnare al salasso. Perso definitivamente il ricorso, l’Ente nazionale per l’aviazione civile deve ora pagare oltre 36 milioni di euro alla compagnia Air One spa, come stabilito con tre diversi lodi arbitrali relativi ai contributi reclamati dalla società dell’imprenditore abruzzese Carlo Toto in misura quindici volte superiore a quella che era inizialmente prevista dalle convenzioni. Un altro brutto colpo per le casse dello Stato.
I lodi arbitrali
Dopo un contenzioso finito davanti ai giudici amministrativi, Air One, la prima compagnia riuscita a rompere il monopolio di Alitalia, la compagnia di bandiera italiana, prima di confluire nel 2008 nella nuova compagnia nazionale ottenne nel 2002 tre diverse convenzioni dall’Enac, con cui venivano disciplinati i servizi di trasporto aereo sulle rotte Cagliari-Milano, Alghero-Milano e Alghero-Roma. Tali convenzioni prevedevano che per l’attività svolta di collegamento tra la Sardegna e i due principali centri del continente, ogni anno, la compagnia di Toto ricevesse quasi tre milioni di euro di contributi. In Italia, però, non c’è atto senza clausola e proprio alla luce di tale particolare già l’anno dopo Air One, fondata nel 1983 a Pescara, chiese all’Ente allora presieduto dall’ex deputato della Dc ed ex sottosegretario Vito Riggio oltre 43 milioni. La controversia, che vedeva lievitare gli aiuti statali di quindici volte rispetto a quanto previsto, venne rimessa a tre collegi arbitrali, uno presieduto dall’allora presidente del Tar del Lazio, Pasquale De Lise, poi al vertice del Consiglio di Stato e destinatario di incarichi prestigiosi dal Governo, e due da Antonio Catricalà, a lungo presidente dell’Antitrust e attaule viceministro dello Sviluppo Economico. Il responso non fu però dei migliori per l’Enac, chiamato a pagare 36.108.602 euro alla compagnia aerea.
I tentativi di evitare la “mazzata”
L’Ente che controlla e gestisce l’aviazione civile ha quindi cercato di dare battaglia e ha impugnato i tre lodi davanti alla Corte d’Appello di Roma, che inizialmente sospese le decisioni degli arbitri, portando anche a qualche interrogazione in Parlamento, ma in seguito le avallò con una sentenza che venne depositata il 27 giugno 2007. L’Enac ha così giocato l’ultima carta a disposizione, con un articolato ricorso in dieci punti presentato in Cassazione. Tutto inutile. Ad avallare la sentenza d’appello e a imporre all’Ente presieduto da Riggio il pagamento degli oltre 36 milioni sono state questa volta le sezioni unite civili della Suprema Corte. Per l’Enac i lodi erano in contrasto con quanto aveva stabilito in precedenza il Consiglio di Stato, che tramite una sentenza del 15 maggio 2003 aveva definito il giudizio sulla validità dell’aggiudicazione all’Air One dei servizi di trasporto aereo oggetto delle convenzioni su cui poi si sono pronunciati gli arbitri. Secondo l’Ente nazionale per l’aviazione civile, essendosi precedentemente espressi i giudici di Palazzo Spada su quanto spettava alla società di Toto, gli arbitri non si sarebbero dovuti pronunciare su tale aspetto. Tesi che non hanno fatto breccia in Cassazione, dove è stato specificato che una cosa è giudicare se una gara è legittima e un’altra è quella sull’adempimento di alcune convenzioni. Ricorso quindi rigettato e altra condanna per l’Enac, questa volta a pagare anche ventimila euro di spese di giudizio. Alla luce dell’esito di ben tre lodi arbitrali, della sentenza della Corte d’Appello di Roma e di quella ora emessa dalle sezioni unite civili della Corte di Cassazione, sembra proprio che qualcosa nelle convenzioni che l’Ente per l’aviazione ha stipulato non abbia funzionato. Il risultato è un’altra emorragia di denaro pubblico, mentre Air One si vede recapitare un bel tesoretto, per un servizio che inizlamente avrebbe dovuto svolgere per molto meno.