Dopo quasi vent’anni di battaglia, sembra vicino il momento in cui verranno riscritte le regole che disciplinano le cause per diffamazione a mezzo stampa. Un traguardo storico che porterà la prossima settimana il disegno di legge sulla lite temeraria, fortemente voluto da M5S e di cui è primo firmatario il grillino Primo Di Nicola (nella foto), nell’Aula del Senato. Peccato che a pochi passi dal traguardo, iniziano ad intravedersi all’orizzonte le grandi manovre di chi spera di affossare il provvedimento chiamato a scardinare, una volta per tutte, il meccanismo perverso che, pur cercando di garantire il diffamato, è stato spesso usato per tappare la bocca o quantomeno scoraggiare i giornalisti scomodi.
Questo quanto emerge dalla relazione di minoranza della 2a Commissione permanente Giustizia di cui è relatrice la senatrice forzista Fiammetta Modena, nel cui curriculum si legge che è anche avvocato e pubblicista. Nel mirino dell’atto c’è il fatto che nel disegno di legge “dopo il primo comma dell’articolo 96 del codice di procedura civile è inserito il seguente: Nei casi di diffamazione commessa col mezzo della stampa o della radiotelevisione in cui risulta la mala fede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per risarcimento del danno, su richiesta del convenuto, il giudice, con la sentenza che rigetta la domanda, può condannare l’attore, oltre che alle spese di cui al presente articolo e di cui all’articolo 91, al pagamento a favore del richiedente di una somma determinata in via equitativa”.
Per farla breve, se una persona chiede 100mila euro perché si è sentito diffamato ma il giudice gli dà torto, rischia di dover pagare la metà della richiesta risarcitoria al giornalista. Si tratta del cardine della norma perché è proprio quello che dovrebbe chiudere i rubinetti delle querele presentate per intimidire i cronisti. Ma per la relazione di minoranza questa norma sarebbe sostanzialmente mal scritta perché “anche l’individuazione del mezzo”, nel disegno di legge identificato con la “stampa” e la “radiotelevisione”, deriva dal “linguaggio usato nella legge 47 del 1948” e non tiene conto della legge del 7 marzo 2001 in cui si usa “una definizione di prodotto editoriale” ben più “pertinente”.
Inoltre viene segnalato che nel testo in esame viene equiparata la stampa alle testate giornalistiche online anche se, spiega la relazione, “è noto che a diritto vigente, solo per le prime esiste una specifica disciplina che riguardi le responsabilità dei direttori ed editori” mentre “nessuna norma ha mai affrontato il tema della responsabilità dei direttori dei quotidiani online”. Tra le numerose obiezioni mosse c’è anche la critica per aver deciso di spacchettare il disegno di legge sulla lite temeraria da quello di Forza Italia, di cui è primo firmatario Giacomo Caliendo, che riguarda il profilo penale della questione.
Quel che è certo è che la relazione non sembra scalfire le convinzioni della maggioranza, decisa a portare a casa il provvedimento, tanto che il relatore e senatore di M5S, Arnaldo Lomuti, sostiene che “non penso sarà influente” ai fini dell’approvazione e che “non concordo assolutamente con il contenuto” e “trovo inusuale che tale atto venga presentato a lavori già conclusi”. Del resto che ci sia urgenza di chiudere questa delicata partita è cosa nota dopo che sia la Corte Costituzionale che la Corte Europea dei diritti dell’uomo hanno puntato il dito contro le norme vigenti, le quali penalizzano l’informazione, auspicando che la politica italiana risolva rapidamente tutte le criticità.