Carlo Calenda si candida sindaco a Roma anche se aveva detto “se mi candidassi a Roma sarei un cialtrone”. Prendiamo atto – imbarazzati per lui – che ha cambiato idea. Oltretutto la sua autocandidatura è di puro disturbo perché invisa al Partito democratico senza il cui sostegno non ha alcuna speranza di riuscire. Anzi, si tratta di una sorta di violenza visto che l’ex ministro obbliga – come ha dichiarato – il Pd a sostenerlo. Ma la cosa che obiettivamente stupisce, a parte la sconcertante autodichiarazione poi autosmentita, è lo spazio mediatico immenso che gli viene concesso e a cui gli altri candidati non hanno avuto il minimo accesso. Calenda ha dato il suo annuncio salvifico per il mondo addirittura dal programma di Fabio Fazio, Che tempo che fa, su Rai 3.
Ed allora una domanda sorge spontanea: come mai il “sistema” pompa così tanto la sua candidatura che obiettivamente è del tutto residuale visti i risultati disastrosi presi dal suo movimentino alle ultime amministrative? Lapo Elkann e i Radicali italiani si sono lanciati subito a suo sostegno. Dunque non c’è bisogno di essere complottisti per pensare che ci sia un piano a tavolino, una programmazione accurata delle mosse del nipote del regista Luigi Comencini. Si sa che, in Italia, la fama è ereditaria al di là dei meriti del miracolato di turno e così è stato anche in questo caso. Carlo Calenda non si rassegna al fatto di non essere più ministro e così smania e si tormenta, si dimena, suda e sbuffa, si iscrive al Pd per pochi giorni e poi ci ripensa, vuole far saltare il Partito democratico e poi cerca di allearsi, nel frattempo ha un rapporto altalenante con l’amico-nemico Matteo Renzi e la sua Italia Viva.
I due partitini si rincorrono come in una fastosa giostra medievale. I loro leader hanno solo un obiettivo: auto-preservarsi il più possibile e intanto l’Italia precipita nella pandemia, ma loro di mollare non ne vogliono proprio sapere. Matteo Renzi. E già, proprio a lui occorre riferirsi per capire il perché di questa azione di disturbo. Il duo si sta specializzando in questo: azioni di disturbo, come è avvenuto in Puglia con la candidatura di Ivan Scalfarotto. E Renzi è anche il motore mediatico delle sue continue comparsate in televisione e sulla carta stampata. L’ex premier ha infatti ancora ottimi agganci mediatici, ha coltivato giornali e giornalisti amici, è ancora molto influente in Rai e gli basta alzare il telefono per trovare pronta udienza nei posti dove c’è “la gente che piace alla gente che piace”.
Dietro a Calenda non c’è solo una semplice candidatura, ma un vero e proprio esperimento mediatico iniziato da tempo e che può essere facilmente ricostruito dalla progressione geometrica delle sue presenze televisive in programmi che contano. Basta guardare Virginia Raggi e Monica Cirinnà, le altre due candidate a sindaco di Roma, per constatare che non hanno avuto alcuno spazio mediatico al contrario dell’ingordo ex ministro che sarebbe un interessante caso di studio per un massmediologo come Umberto Eco. Calenda non diventerà mai sindaco di Roma, ma, in compenso, entrerà nella storia dei media per la sua enorme capacità pervasiva in relazione ai numeri scarsissimi del suo movimento. E chissà che fra qualche anno emerga una trama ancora più complessa e inquietante, come tante ce ne sono state nella storia repubblicana passata e anche recente.