Dovrà appendere la toga al chiodo e rinunciare pure alla carica di consigliere del Csm. Questo il verdetto del plenum di Palazzo dei Marescialli nei confronti di Piercamillo Davigo (nella foto) che ieri, con una decisione che era nell’aria, ha decretato la decadenza dall’organo di autogoverno delle toghe dell’ex pm di Mani Pulite. Domani il leader della corrente Autonomia e Indipendenza compirà 70 anni e per questo andrà in pensione, fatto questo che per la maggioranza dei consiglieri è incompatibile con la carica di togato all’interno del Consiglio superiore della magistratura.
Peccato che la decisione, come troppo spesso accade al Csm, non è arrivata all’unanimità anzi per l’ennesima volta il plenum si è spaccato con 13 voti a favore della decadenza di Davigo, 6 contrari e 5 astenuti. Com’era già ampiamente prevedibile, a favore della delibera hanno votato i gruppi di Magistratura Indipendente e di Unicost, l’intero Comitato di presidenza composto dal vice presidente David Ermini, dal primo presidente e dal procuratore generale della Cassazione, Pietro Curzio e Giovanni Salvi, dal consigliere Nino di Matteo (ex esponente di A&I), e dai laici Filippo Donati (M5S), Emanuele Basile (Lega), Alessio Lanzi e Michele Cerabona (Forza Italia).
A votare contro il provvedimento, invece, sono stati i togati di Autonomia & Indipendenza, la togata di Area Alessandra Dal Moro e il laico Fulvio Gigliotti (M5S). Ad astenersi sono stati Aberto Benedetti (M5S) Stefano Cavanna (Lega) e i togati di Area Giuseppe Cascini, Giovanni Zaccaro e Mario Suriano. Contestualmente il Consiglio ha deciso che al posto dell’uscente Davigo, subentrerà Carmelo Celentano, esponente di Unicost e primo dei non eletti tra i giudici di Cassazione.
STORIA GIÀ SCRITTA. Che l’esito del voto a Palazzo Marescialli fosse quasi scontato, era chiaro da tempo. Del resto la scorsa settimana la Commissione Verifica Titoli del Csm aveva deliberato sulla decadenza dell’ex pm di Mani Pulite con una decisione passata a maggioranza, per l’esattezza con due voti a favore su tre. Una posizione che, tra le altre cose, era anche in linea con un parere chiesto all’Avvocatura dello Stato. Così non sorprende che durante il plenum già dagli interventi precedenti il voto era emerso lo stesso orientamento. “Consentire la permanenza al Csm di chi non è più magistrato sarebbe un atto che violerebbe la ratio e lo spirito delle norme costituzionali” sulla magistratura perché così si finirebbe con “l’accrescere ingiustificatamente il numero dei componenti non togati a detrimento di ciò che la Costituzione prevede”, ha detto l’ex compagno di corrente di Davigo nonché ex pm antimafia Di Matteo.
Proprio in virtù dei rapporti di amicizia, il consigliere ha espresso la sua stima per l’ormai ex collega che “lascerà un segno nella storia più recente della magistratura italiana”. Sostanzialmente lo stesso concetto è stato ribadito anche nel corso degli altri interventi tra cui quello del primo presidente della Cassazione, Curzio, secondo cui “il pensionamento fa venire meno lo status di magistrato e questo comporta il venir meno delle funzioni giudiziarie e quelle di componente del Csm” questo perché “se la condizione di magistrato viene meno viene meno il rapporto tra laici e togati che la Costituzione prevede” a Palazzo dei Marescialli. Posizione condivisa anche dal procuratore generale Salvi, secondo cui c’è una “necessità derivante da principi costituzionali”.