Si dice spesso che le mafie riescono ad infiltrarsi sia nel tessuto imprenditoriale che in quello della pubblica amministrazione. Non fa eccezione la cosca ndranghetista Serraino che per mandare avanti gli affari aveva trovato nell’ex assessore comunale di Reggio Calabria, Seby Vecchio, un vero e proprio alleato. Questo almeno è quanto emerge dall’indagine del procuratore Giovanni Bombardieri (nella foto) che ha portato all’arresto di cinque persone tra cui l’esperto politico. Proprio Vecchio, si legge nell’ordinanza, è il “politico di riferimento della cosca” che avrebbe “sfruttato il ruolo di consigliere e assessore comunale per garantire favori ai membri del clan e agli esponenti di altre articolazioni della ‘ndrangheta reggina”.
A loro volta i boss ricambiavano il politico assicurandogli “consistenti pacchetti di voti in occasione delle elezioni”. L’operazione ha portato a cinque provvedimenti di fermo e al sequestro di beni per un valore di 13 milioni di euro e stando a quanto si apprende fa parte di un’inchiesta più ampia per la quale, a luglio, erano finite in manette 12 persone tra cui il reggente della cosca Serraino, Maurizio Cortese, e la moglie Stefania Pitasi ritenuta la promotrice del clan e la portavoce sul territorio del marito detenuto da tempo. In quell’inchiesta, la polizia aveva arrestato anche Antonino Filocamo, il gestore di un bar ritenuto intraneo alla consorteria mafiosa, e che, poche settimane dopo l’arresto, ha scelto di collaborare con i pm fornendo dichiarazioni che hanno portato a questo ennesimo spin off sul malaffare in Calabria.
Proprio Filocamo, infatti, è l’uomo che ha spiegato che “Seby Vecchio una settimana prima che ci arrestassero ci rassicurò circa il fatto che noi del gruppo Serraino non correvamo particolari rischi giudiziari: parlò con me una domenica mattina dopo il mio rientro da Verona. Ci siamo visti a San Sperato al bivio dopo Cataforio”. L’allora assessore, infatti, era da tempo un prezioso alleato del clan perché oltre ad essere un politico era anche assistente capo della polizia di Stato, capace di procurare “notizie riservate sulle indagini in corso”. Un duplice ruolo che ha permesso all’uomo anche di agevolare, come si legge nel capo di imputazione, “la latitanza dei capi della cosca che intendevano sottrarsi alla cattura” e di supportare “gli interessi economici del sodalizio e dei suoi capi, agevolando l’apertura di attività commerciali ed instaurando rapporti societari di fatto (tramite il ricorso a fittizie intestazioni) per consentire l’avviamento di nuove attività imprenditoriali e scongiurare il rischio di sequestri”.
Oltre all’ex assessore di Reggio Calabria, in carcere sono finiti Antonio Serraino detto “Nino”, Francesco Russo detto “Ciccio lo Scalzo”, Antonino Fallanca e Paolo Russo alias “Zamburro”. I due Russo, sempre stando al carteggio, sono risultate due pedine fondamentali del clan tanto che a loro competevano “i riti di affiliazione dei nuovi adepti e di conferimento delle doti di ndrangheta, partecipando alle relative cerimonie”. Ma dall’ordinanza emerge anche un altro aspetto.
Vecchio, sempre stando all’inchiesta che lo vede accusato sia di associazione a delinquere di stampo mafioso che di intestazione fittizia, dopo essere stato eletto dalla ‘ndrangheta voleva allontanarsi e non rispettare i patti tanto che un altro pentito ha raccontato ai pm che “all’inizio voleva fare il bravo ragazzo Sebastiano Vecchio, allontanarsi ….gli hanno preso fuoco due macchine. Voleva fare tutto il bravo… Abbiamo chiamato dice gli hanno bruciato due macchine perché…ha fatto…il pezzo di merda come si dice… I favori sono posti di lavoro”.