di Gaetano Pedullà
Finalmente abbiamo capito a che serve un provvedimento omnibus come il decreto del Fare: mettere insieme cento argomenti per farci sparire in mezzo pillole indigeste come l’abolizione del tetto agli stipendi dei manager pubblici. L’ennesima promessa da marinaio di una politica che ancora una volta si dimostra succube di burocrati e potentati divenuti da tempo i veri padroni dello Stato. Se i ricchi stipendi dei manager non si toccano, nulla cambia pure sui ricchi finanziamenti ai partiti. Il disegno di legge annunciato con tanta enfasi da Palazzo Chigi ha già cominciato a slittare. E se mai arriverà in porto, c’è da giurarsi, sarà molto diverso da come ci era stato promesso. Da una politica degli annunci nascono però frutti amari. Al momentaneo appagamento mediatico degli elettori, segue infatti una irrecuperabile disillusione. E alle nuove promesse non crede più nessuno. Enrico Letta ieri non è stato il primo premier a mostrare la faccia più dura contro gli evasori fiscali. Chi ha portato i soldi all’estero – ha detto – ci ripensi; il clima è cambiato. Speriamo. Il guaio però è che da decenni sentiamo queste stesse minacce, purtroppo molto più nette e gridate ogni qual volta sta per arrivare una nuova manovra di lacrime e sangue. Manovre in genere annunciate da tutta una serie di sinistri scricchiolii, dalle agenzie di rating che declassano il debito sovrano e le banche a scoperte sensazionali, come l’esistenza di un piano per far fuori l’Italia dai mercati finanziari mondiali annunciato ieri dal Corriere della Sera e scongiurato – sempre a detta dello steso giornale – dalla politica di sacrifici imposta dal precedente governo di Mario Monti. Rassegniamoci dunque a un autunno che già si annuncia caldissimo. L’unico annuncio, purtroppo, che non ha l’aria di essere farlocco.