Usciti dalla porta, sono rientrati dalla finestra. Grazie alla sentenza della Commissione contenziosa che ha ripristinato i maxi-vitalizi dei senatori. Vanificando il taglio da 22,2 milioni di euro l’anno ottenuto con il ricalcolo retroattivo degli assegni entrato in vigore dal 1° gennaio 2019. Ma non dire gatto se non ce l’hai nel sacco. Infatti, come da prassi consolidata, l’amministrazione del Senato, rappresentata dal segretario generale di Palazzo Madama, Elisabetta Serafin, di fronte ad una sentenza sfavorevole in primo grado proporrà appello dinanzi al Consiglio di Garanzia. Chiedendo contestualmente la sospensione della sentenza impugnata qualora ne derivino effetti giuridici, come in questo specifico caso, con la reintroduzione dei vitalizi pieni, con tanto di restituzione di arretrati e interessi.
La commissione Contenziosa del Senato – composta da cinque membri, i senatori Giacomo Caliendo (presidente) di Forza Italia, Simone Pillon della Lega e Alessandra Riccardi, nominata in quota M5S e poi passata nel Carroccio, e i due membri laici Cesare Martellino e Alessandro Mattoni, entrambi astenuti e sostituiti dai supplenti Gianni Ballarani e Giuseppe Dalla Torre Del Tempio di Sanguinetto (relatore) – ha, di fatto, accolto i 499 ricorsi proposti dai 776 ex senatori contro il taglio dei vitalizi. Annullando parzialmente la delibera dell’Ufficio di Presidenza di Palazzo Madama che ricalcolava retroattivamente col sistema contributivo l’assegno degli ex senatori. Ma su che basi?
Innanzitutto ripescando una sentenza della Cassazione a sezioni unite che definisce il vitalizio come “la proiezione economica dell’indennità parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato”. Dunque, ne desume la Commissione Contenziosa nelle motivazioni, “l’assegno vitalizio avrebbe natura giuridica di certa misura previdenziale, anzi specificata in modo non dissimile dalla pensione”. Equiparando, in sostanza, i vitalizi ai trattamenti pensionistici dei normali cittadini. Fin qui la sentenza. Che tuttavia lascia irrisolte alcune evidenti disparità di trattamento tra il regime pensionistico degli ex inquilini di Palazzo Madama e quello dei comuni mortali. La più lampante, relativa all’età pensionabile.
Infatti se per percepire la pensione un lavoratore deve attendere 67 anni e sei mesi ed aver versato 20 anni di contributi non si spiega per quale motivo un senatore (ma le regole valgono anche per i deputati) dopo aver svolto un solo mandato, e quindi cinque anni di attività, possa percepire il vitalizio a soli 65 anni. Con ben due anni di anticipo rispetto al resto dei cittadini. Ma non finisce qui. Perché per ogni anno di mandato oltre il quinto viene abbassato il limite di età di 12 mesi. Fino ad arrivare, con due mandati, e quindi dieci anni di contributi, ad incassare il vitalizio già al 60esimo compleanno. Ma c’è di più. Come se non bastasse.
Perché una sentenza del Collegio d’appello della Camera, ha stabilito nel 2018 che per ogni mandato completo ulteriore al secondo si può ottenere il vitalizio con un ulteriore anno di anticipo: a 59 anni con tre mandati, a 58 con quattro e via di seguito. Emblematici i casi dell’ex finiano Italo Bocchino, del leghista Daniele Molgora, dell’ex azzurro Mario Valducci, e gli ex An Roberto Menia, Mario Landolfi e Filippo Ascierto. Che si sono visti riconoscere il diritto di incassare il vitalizio a 58 anni. Addirittura meglio è andata all’ex vice presidente del Piemonte e due volte sottosegretario nei Governi Berlusconi, Roberto Rosso: per lui l’agognata pensione è scattata a 57 anni.
A fronte di quanto stabilito per il Senato c’è un’altra partita ancora in corso, quella speculare della Camera. Cosa succederà? Anche la Camera dovrà adeguarsi al verdetto del Senato? C’è chi, ovviamente, spera di Sì. Come gli oltre mille ex deputati che hanno presentato, al pari dei colleghi senatori, ricorso contro il taglio dei vitalizi imposto dalla delibera che, a Montecitorio, porta la firma del presidente Roberto Fico. Ma non è detto che brinderanno alla vittoria. Il Consiglio di giurisdizione della Camera, infatti, non ha ancora emesso la sentenza. Sebbene, però, abbia già annullato con una decisione interlocutoria alcune norme della delibera. Consentendo agli ex onorevoli in condizione di indigenza o invalidi totali di chiedere al collegio dei questori un aumento del vitalizio.