La lotta al virus rimane in cima all’agenda di governo, ma al centro del Consiglio dei ministri di ieri sera c’è stata la nota di aggiornamento delle stime del Def, ed è evidente come questa sia strettamente collegata alla crisi economica e sociale innescata dalla pandemia: i decreti cura Italia, Liquidità, Rilancio e Agosto hanno richiesto un indebitamento aggiuntivo di 100 miliardi e portato il totale delle spese correnti a 888 miliardi contro gli 808 del 2019: quasi il 54% del prodotto interno lordo, che tornerà ai livelli pre covid nel 2022. Il debito schizzerà al 158% quest’anno, poi dovrebbe iniziare la discesa fino al 151,5% alla fine del triennio. Solo nel 2023 il saldo primario tornerà positivo di 0,1%.
La caduta del Pil è pesante, si parla del 9% nella previsione dell’esecutivo, ma comunque migliore di quelle degli istituti internazionali perché, ha spiegato ieri il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri “è in corso un forte rimbalzo”: +6% nel 2021 mentre nel 2022 il Pil crescerebbe del 3,8% e nel 2023 del 2,5%. Ma è tutto in divenire, chiaramente: in presenza di uno scenario sfavorevole relativamente al corso della pandemia, con la conseguente imposizione di nuove misure restrittive e la predisposizione di chiusure selettive, la previsione annuale di caduta del Pil per il 2020 scenderebbe dai nove ai 10,5 punti percentuali, mentre la crescita nel 2021 si attesterebbe all’1,8 per cento contro i 5,1 punti percentuali inizialmente stimati.
Nella bozza viene comunque specificato che, sebbene la coesistenza con il virus durerà ancora per un numero significativo di mesi, la probabilità di “una nuova ondata di contagi tale da richiedere nuovamente un lockdown generalizzato appare oggi minore”, ma fa anche luce su quanto il Covid abbia impattato sui conti pubblici: sono contestualmente esplose le spese dello Stato e diminuite le entrate: nel 2020 per il gettito tributario è previsto un calo di 8,1 punti percentuali, a causa anche del posticipo delle scadenze di versamento e in alcuni casi della cancellazione degli oneri fiscali a carico delle famiglie e delle imprese. In ogni caso, si legge nella Nadef, i fondi di Next Generation Eu “consentiranno spazi fiscali per far entrare a regime la riforma fiscale con la quale il Governo si è impegnato a ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, soprattutto per i redditi medi e medio-bassi.
La riforma fiscale si finanzierà strutturalmente con il contrasto all’evasione fiscale e con una riforma del sistema delle detrazioni e dalla tassazione ambientale”. E ancora: il governo “intende adottare nuove politiche di sostegno agli investimenti pubblici e di incentivo all’occupazione, nonché un piano di riforme strutturali che costituiscono parte integrante del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che sarà sottoposto al vaglio del Parlamento italiano e delle istituzioni europee”. Il sostegno ai lavoratori e alla imprese, soprattutto in quei i settori produttivi più colpiti dalla pandemia, rimane dunque un obiettivo prioritario grazie soprattutto alla “piena valorizzazione” delle risorse messe a disposizione dell’Ue: per finanziare gli interventi nella Legge di bilancio per il 2021 è previsto anche dei fondi React-Eu, Sviluppo Rurale oltre al Recovery and Resilience Facility. Per quest’ultimo si prevede l’utilizzo pieno delle sovvenzioni (grants) messe a disposizione del nostro Paese e un utilizzo dei prestiti compatibile con il raggiungimento degli obiettivi di bilancio che insieme all’extradeficit da 1,3 punti percentuali (circa 22 miliardi) dovrebbe finanziare una manovra da circa 40 miliardi”.