Anche gli ultimi dieci giorni concessi dal Governo come tempi supplementari sono agli sgoccioli, ma la trattativa per cedere Autostrade non fa passi avanti. Atlantia, la holding controllata dai Benetton che ha in pancia la società con le concessioni pubbliche, si trincera dietro l’alibi della mancata formulazione di un’offerta economica da parte della Cassa Depositi e Prestiti, mentre quest’ultima ha fatto sapere chiaramente che se il concessionario non si assume la manleva per il disastro del Ponte Morandi di Genova nessun algoritmo al mondo, e men che meno la prassi in questo genere di operazioni finanziarie, potranno mai determinare un valore equo per la compravendita.
Così il tempo passa, Palazzo Chigi rischia di fare una pessima figura e Benetton si tiene stretto il gioiello ottenuto a prezzi d’occasione ai tempi generosi della Prima Repubblica, dopo aver fatto per decenni utili stratosferici e sicuramente fuori mercato, a fronte di manutenzioni che comunque la si guardi non hanno impedito tragedie come quella del capoluogo ligure o del viadotto Acqualonga, con 40 morti in provincia di Avellino.
UNO SCANDALO AL SOLE. Di questa vicenda i lettori de La Notizia sono da sempre bene informati, in quanto da anni diamo conto di quello che è il più clamoroso degli scandali al sole. Sotto gli occhi di tutti, e persino con la compiacenza di partiti evidentemente genuflessi al potere economico di Ponzano Veneto, per non parlare di gran parte della stampa nazionale, Autostrade per l’Italia (Aspi) ha distribuito dividendi miliardari, anche grazie all’affidamento in deroga delle manutenzioni a società infragruppo, salito ben oltre il 40% massimo stabilito dalla legge. Così si giustificavano i costi aggiuntivi che gli automobilisti hanno restituito nei pedaggi al casello, dove tra l’altro il concessionario ha ottenuto negli anni numerosi adeguamenti tariffari.
Coperti da un sistema lobbistico fortissimo sia in Italia che in Europa, i Benetton erano diventati di fatto i padroni di un bene costruito con i soldi degli italiani, insieme a pochi altri gestori privati – Gavio e Toto i maggiori – di fronte ai quali lo Stato chissà per quale motivo ha sempre mostrato un timore reverenziale. Basti pensare che parte delle condizioni economiche fissate tra la controllata dei Benetton e l’Anas fino a due anni fa erano secretate. Ma più di preciso, di cosa stiamo parlando?
Se andiamo indietro solo di dieci anni dal crollo del ponte Morandi, nella cassaforte dell’azionista veneto le autostrade hanno pompato utili per 6 miliardi di euro. A fronte di un tale tesoro gli investimenti di Aspi sono scesi da 1,1 miliardi a 500 milioni. Così c’erano soldi per tutti, compresi i fondi esteri convinti a rilevare costose quote a fronte di soldi che arrivavano a fiumi, persino nel 2018, l’anno del disastro del viadotto Polcevera, quando il concessionario ha staccato solo a Ponzano veneto un assegno da 518 milioni.
Un affare colossale, che i Benetton hanno utilizzato per fare shopping all’estero, comprando altre concessioni in mezzo mondo, dalla Spagna all’America latina, passando per il tunnel sotto la Manica. I soldi degli automobilisti italiani spediti oltreconfine, esattamente come il gruppo oggi guidato da Carlo Bertazzo sembra orientato ancora a fare, semmai si chiuderà mai la trattativa con la Cassa Depositi, prima che il Governo esaurisca l’ultima riserva di pazienza e non revochi la concessione, passando la pratica probabilmente per decenni agli avvocati.