Archiviate le elezioni regionali con con la vittoria in Toscana e in Puglia che ha scongiurato il pericolo di messa in discussione della sua segreteria, Nicola Zingaretti può ora pensare alla “stagione di riforme” che aveva posto come condizione per il Sì al referendum sul taglio dei parlamentari. “Nella maggioranza che prima del dramma del Covid si muoveva solo nel ristretto perimetro dell’accordo di governo c’è una evoluzione positiva e anche sul tema delle riforme da parte degli alleati non ci sono muri, contrapposizioni, dinieghi o la volontà di porre limiti alla possibilità di fare passi in avanti”.
E qui arriviamo al nocciolo vero della questione: la legge elettorale. E su questo il segretario dem si toglie qualche soddisfazione nei confronti di chi, in caso di netta sconfitta del Pd alle regionali, sarebbe stato pronto a ballare sul suo cadavere: stiamo parlando del “machiavellico” Matteo Renzi, of course. “Credo che la soglia del 5% sia una soglia non discutibile”, ha puntualizzato ieri Zingaretti, “è un giusto compromesso con una legge proporzionale ma con forti correttivi di carattere maggioritario. Per il Pd è una delle condizioni per andare avanti, non vedo margini alcuni di discussione”. Ovviamente con una soglia di sbarramento del genere a farne le spese (e probabilmente a non entrare nel futuro Parlamento) sarebbero i “piccoli” Leu e Italia Viva, stimata ad oggi nei sondaggi intorno al 3%.
Nonostante il capogruppo renziano in commissione Affari costituzionali alla Camera Marco Di Maio si sia affrettato a dichiarare che per il suo partito il problema non è la soglia stabilita, “anzi quando si discusse di questa legge elettorale la soglia del 5 la chiedemmo per cui va bene”, semmai il nodo della questione è “il diritto di tribuna che consentirebbe anche a partiti minuscoli dell’1 per cento, ma che magari hanno percentuali alte in una grande città, di poter entrare in Parlamento e questo non favorisce la semplificazione del quadro politico”. Continua Di Maio: “Comunque noi siamo aperti a discutere di tutto. Non c’è fretta, non ci sono scadenze elettorali imminenti. Quando si parla di questi temi bisogna farlo con serietà, attenzione e grande cura perché stiamo parlando delle regole gioco”.
Le regole del gioco, appunto. Che Renzi conosce fin troppo bene e che sta mettendo in pratica proprio in queste ore nella “sua” Regione: alzare sempre la posta, soprattutto quando non si ha nulla da perdere. I numeri parlano chiaro: nonostante il forte impegno dell’ex premier in prima persona, Italia Viva in Toscana non è stata determinante per la vittoria di Eugenio Giani – indicato peraltro proprio da Renzi come candidato del centrosinistra alla guida della Regione – che ha vinto con un distacco dell’8,16%, mentre Iv ha ottenuto il 4,48%. Sicuramente un risultato al di sotto delle aspettative e che non consente al senatore di Rignano di dettare le condizioni per la definizione della prossima giunta, la squadra di governo della Toscana per i prossimi 5 anni.
Anzi, Giani ha già fatto sapere, con un’eloquente dichiarazione al Foglio di “aver dato a Matteo più di quanto ricevuto”. Un brutto colpo per l’ego dell’ex premier, che ha “minacciato” di tenere fuori i suoi uomini dalla giunta (in ogni caso mossa irrilevante, visto che il Pd ha comunque la maggioranza). Il neo governatore per ora prende tempo e fino alla sua proclamazione ufficiale, che ci sarà nella prossima convocazione del consiglio regionale, mercoledì 7 ottobre, tutto può ancora succedere. Con Renzi è sempre così, la partita è aperta fino alla fine.