di Valeria Di Corrado
Per mettere il bavaglio ai giornalisti si utilizza sempre più spesso l’arma della querela per diffamazione. All’audizione convocata giovedì alla Camera dalla commissione Giustizia, per discutere di una proposta di legge che possa riformare la materia, c’era anche Giorgio Mulè. Il direttore del settimanale “Panorama” lo scorso 23 maggio è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Milano a 8 mesi di reclusione per omesso controllo, in un articolo pubblicato due anni fa sul procuratore capo di Palermo Francesco Messineo.
Pensa che il momento sia maturo perché venga approvata una nuova legge sulla diffamazione a mezzo stampa?
Più che maturo, penso che il tempo sia obbligato. L’Italia ha un grave deficit sulla libertà di stampa ed espressione. Deve riallinearsi al più presto al rango degli altri Paesi civili. Abbiamo ricevuto richiami da parte di diversi organismi internazionali, dall’Unione Europea alla Corte di Giustizia. Abbiamo l’obbligo di procedere entro la fine dell’estate all’approvazione della legge. L’intenzione c’è, lo dimostra il fatto che tutti i partiti sono tutti d’accordo.
Quali sono i punti deboli dell’attuale normativa?
Si tratta di una normativa fuori dal tempo e dal mondo, che non va aggiustata, ma sradicata e bruciata. In particolare per quanto riguarda gli articoli che prevedono la pena detentiva e la responsabilità oggettiva del direttore per omesso controllo. Il carcere dovrebbe essere previsto soltanto quando viene riscontrato il carattere doloso nell’attribuire un fatto falso. Nel caso invece dell’omesso controllo si tratta di un reato di tipo fascista, che nel nostro ordinamento è previsto soltanto per i direttori di giornale e per gli alti ufficiali militari. Non è contemplato, ad esempio, che il procuratore capo abbia una responsabilità oggettiva per le colpe dei propri sostituti. Lo stesso discorso vale per i primari in ospedale.
Crede che il ricorso alle querele sia un fenomeno in ascesa, utilizzato per intimidire i giornalisti? Come nel caso della Cgil con il nostro giornale.
In effetti desta una forte preoccupazione la frequenza con la quale sempre più spesso ci si rivolge ai magistrati. Sicuramente è uno strumento usato per intimidire. In una campagna stampa su un grosso sindacato, ad esempio, il sindacato che querela in sede penale o avvia un procedimento in sede civile ha gioco facile nel mettere a tacere una voce distonica.
Quale potrebbero essere i deterrenti per evitare che si abusi delle querele temerarie?
Chi fa causa, e poi la perde, dovrebbe risarcire il giornale, non solo per le spese legali. Andrebbero introdotte elevate sanzioni pecuniarie per le liti temerarie, da incrementare ulteriormente in caso di recidiva. Allo stesso tempo andrebbe disciplinato l’istituto della rettifica, che potrebbe diventare una causa di non procedibilità della querela. Questo ovviamente a patto di dare risalto alla rettifica, pubblicandola nelle prime pagine del quotidiano (e non in coda, come si usa fare ora) e senza replica del giornalista (che spesso vuole avere l’ultima parola). Inoltre non è possibile che quando a querelare è un magistrato, sia un altro magistrato a decidere. Il giudizio andrebbe affidato a un giurì esterno. Per la citazione civile la situazione è più complicata: va dimostrato il danno che ha procurato la pubblicazione della notizia e non la sua veridicità. In questo caso serve più tempo per riformare la materia.
Ci sono giornali come il nostro, nato appena 4 mesi fa, che non hanno la forza economica per resistere a pretese di risarcimento da centinaia di migliaia di euro. Un attacco incrociato potrebbe metterci a tacere per sempre. Le sembra giusto?
Non è assolutamente giusto. Penso che per i giornali più piccoli le clausole di salvaguardia della libertà di stampa andrebbero rafforzate.
Il giornalismo è, secondo una definizione anglosassone, il “cane da guardia della democrazia”. Ma se gli viene messa la museruola, come fanno i cittadini a sapere quando e chi li minaccia?
Il pericolo è che la società si “grillizzi”. Non è pensabile di essere informati dal blog di Beppe Grillo. I giornalisti danno un crisma di verità alla notizia, perché prima di scrivere hanno l’obbligo di verificare le fonti. In contemporanea conducono inchieste su chi pensa di essere intoccabile, come ad esempio un sindacato.