Difficile trovare qualcuno che accetti di buon grado di esser giudicato. Non fa eccezione nemmeno il pubblico ministero Luca Palamara che di farsi processare dall’attuale Consiglio superiore della magistratura non ne vuole proprio sapere tanto che ieri ha presentato un’istanza per chiedere che tutto torni alle Sezioni Unite della Cassazione e poi da queste alla Consulta così che disponga un rinvio al futuro Csm. Un’istanza inattesa, formalmente motivata da un presunto vizio dell’ordinamento dell’organo di autogoverno delle toghe, che dopo un’ora di camera di consiglio è stata respinta con forza dalla sezione disciplinare del Csm.
A ben vedere più che questioni in punta di diritto, la richiesta del pubblico ministero, sospeso proprio a causa della deflagrazione dell’inchiesta sugli incontri carbonari tra toghe e politica per decidere le nomine nei maggiori uffici giudiziari del Paese, fa riferimento al fatto che il vicepresidente di Palazzo dei Marescialli sarebbe stato eletto grazie a un accordo interno siglato proprio da Palamara & co. Che questo sia il vero nodo dell’istanza lo si si evince dalla memoria depositata dall’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati in cui si legge che “dalla messaggistica estratta dal telefono cellulare dello scrivente, acquisita agli atti dell’inchiesta svolta a carico del sottoscritto dalla Procura di Perugia, è emerso il ruolo che il sottoscritto, e con il medesimo, anche gli onorevoli Cosimo Maria Ferri e Luca Lotti, ha avuto nell’accordo politico che portò all’elezione dell’attuale Vice-Presidente del Consiglio superiore della magistratura David Ermini”, per questo “se ne trae una ragione in più per dubitare dell’effettiva serenità con cui codesta Sezione Disciplinare potrà assumere le proprie libere determinazionì nel giudicare i fatti per cui oggi è giudizio”.
BOTTA E RISPOSTA. Una richiesta, quella di Palamara, di “una tale eccentricità nella sua formulazione da risultare non proponibile”, l’ha definita l’avvocato generale Pietro Gaeta, che rappresenta la procura generale e dunque l’accusa nei confronti del magistrato sotto procedimento disciplinare. La questione di legittimità costituzionale, a giudizio di Gaeta, “è inammissibile e palesemente manipolativa”. Parere diametralmente opposto a quello della difesa del pm sospeso, rappresentato da Stefano Guizzi, secondo cui l’invio degli atti sarebbe stato necessario in quanto “ci sono state reiterate prese di posizione pubbliche molto nette da parte dei componenti del Consiglio superiore della magistratura e del vicepresidente” e per questo si auspicava che a pronunciarsi fosse un’altra Sezione disciplinare, diversa nella composizione rispetto a quella attuale.
IL NODO INTERCETTAZIONI. Ma oltre al tentativo di ricusare i propri giudici, la difesa di Palamara è tornata a sollevare anche la questione dell’utilizzabilità delle intercettazioni nel procedimento disciplinare a carico del pm sospeso. Proprio questo, infatti, risulta essere l’argomento più spinoso della vicenda perché, come noto, in alcuni audio sono coinvolti anche alcuni parlamentari. Tuttavia dopo uno scambio di opinioni con il presidente del collegio, Fulvio Gigliotti e l’avvocato Gaeta, le parti hanno concordato che il nodo intercettazioni dovrà essere approfondito in un secondo momento, ossia all’istruzione dibattimentale che si celebrerà nelle prossime settimane.