Ad un passo dal traguardo. La riforma targata M5S, che taglia il numero dei deputati da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200, arriverà al vaglio degli elettori con il referendum del 20-21 settembre per chiudere l’iter di revisione previsto dall’articolo 138 della Costituzione. In caso di vittoria del Sì, la scure calata sui seggi parlamentari, che ha già ottenuto il via libera nei quattro passaggi parlamentari previsti, si tradurrà in un risparmio, per le casse dei due rami del Parlamento, di 82 milioni di euro l’anno, 410 milioni nell’arco di una legislatura.
Attualmente, in base ai bilanci di previsione 2019 di Camera e Senato, tra indennità e rimborsi vari, le spettanze dei deputati e dei senatori in carica, gravano sulle tasche del contribuente per circa 224 milioni di euro l’anno: 144,8 a Montecitorio e altri 79,7 a Palazzo Madama. Riducendo gli scranni di un terzo, come punta a fare il ddl costituzionale – il cui iter parlamentare è stato seguito a vista fino al cambio di maggioranza dall’ex ministro per le riforme e attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro – la spesa scenderebbe a 91,9 milioni (-52,8 milioni) alla Camera e a 50,6 milioni (-29,1 milioni) al Senato.
Risparmi che andrebbero ad aggiungersi a quelli già archiviati con il ricalcolo retroattivo dei vitalizi di disposto dalle delibere approvate l’anno scorso dai due rami del Parlamento e in vigore dal primo gennaio di quest’anno. Stando sempre agli ultimi bilanci di previsione disponibili, la misura produrrà un taglio di 45,6 milioni di euro a Montecitorio e 22,2 milioni al Senato: in totale, 67,8 milioni di euro all’anno, 339 milioni a legislatura. Ma c’è un ma. Al momento, infatti, per effetto della discussa sentenza della Commissione contenziosa del di Palazzo Madama, la delibera che ha sforbiciato le pensioni degli ex senatori è stata annullata, vanificando il risparmio accantonato di 22,2 milioni l’anno.
In attesa delle motivazioni e della probabile impugnazione da parte dell’Amministrazione, la parola definitiva dovrebbe comunque arrivare, in secondo caso, dal Collegio di garanzia. Mentre, almeno per adesso, ha superato indenne il giudizio di primo grado del Consiglio di giurisdizione della Camera sui ricorsi degli ex deputati, l’impianto dell’analoga delibera che, a Montecitorio, ha alleggerito il conto previdenziale degli ex onorevoli a carico della collettività. Ma non è tutto. Come ha, infatti, ricordato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, nei giorni scorsi, il via libera al referendum proporzionale spianerebbe la strada al terzo obiettivo della crociata contro gli sprechi della politica targata Movimento Cinque Stelle.
Vale a dire, una legge per dimezzare le indennità parlamentari. Se approvata si otterrebbero altri risparmi per 25,8 milioni alla Camera e 13,3 al Senato: in tutto 39,1 milioni all’anno, 195,5 a legislatura. Cifra che sommata alla sforbiciata prodotta dal taglio dei parlamentari – appesa all’esito del referendum – e dei vitalizi – il cui destino dipenderà dalle sentenze definitivi sui ricorsi degli ex parlamentari, porterebbe il totale dei risparmi a quasi un miliardo a legislatura. Per la precisione, a 944,5 milioni in cinque anni. Altro che il costo di un caffè.