I giudici del Tribunale di Roma hanno condannato a 11 anni di carcere il giudice del Consiglio di Stato, Nicola Russo, per l’accusa di corruzione in atti giudiziari per avere pilotato almeno tre sentenze dello stesso Consiglio (leggi l’articolo). La procura aveva chiesto una condanna a 7 anni e mezzo. I giudici hanno, inoltre, dichiarato estinto il rapporto di Russo con la pubblica amministrazione e disposto un risarcimento di 100 mila euro in favore della Presidenza del Consiglio, costituitasi parte civile, e di oltre 64 mila in favore dell’amministrazione giudiziaria a titolo di riparazione pecuniaria. Attualmente Russo è sospeso dalle proprie funzioni.
Nello stesso scandalo delle sentenze pilotate, , oltre a Nicola Russo, erano coinvolti anche l’ex presidente del Consiglio di Giustizia amministrativa (Cga) della Sicilia, Raffaele Maria De Lipsis, l’ex magistrato della Corte dei Conti, Luigi Pietro Maria Caruso e il deputato dell’assemblea regionale siciliana Giuseppe Gennuso. Tutti e quattro erano accusati dalla Procura di Roma di aver messo in piedi una cricca specializzata nella compravendita di verdetti amministrativi capace, tra il 2014 e il 2015, di incassare ben 150mila euro.
La vicenda giudiziaria che coinvolgeva Russo si intreccia con i problemi interni al Csm. Si trattava, infatti, del procedimento su cui lavoravano il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Stefano Fava, quest’ultimo poi spogliato dell’inchiesta, e in cui figuravano gli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore. Un’indagine che convinse Fava a scrivere il famoso esposto contro Ielo e Giuseppe Pignatone da cui, di fatto, ha preso il via la cosiddetta guerra delle toghe.