Sembra incredibile ma a distanza di due anni, l’inchiesta sul crollo del ponte Morandi continua a regalare sorprese. L’ultima è quella che riguarda il documento di “programmazione del rischio” relativo alle condizioni del viadotto che, cosa inizialmente negata da Autostrade per l’Italia, non solo è reale – tanto che è stato scovato dai finanzieri – quanto era ben noto al management dell’azienda. Questo almeno è quanto emerge, a poche settimane dalla data di chiusura dell’indagine prevista per settembre ma che a questo punto potrebbe slittare, dalle audizioni di altri sei dirigenti.
Proprio i manager, sentiti negli ultimi giorni come persone informate sui fatti, avrebbero confermato di essere a conoscenza del documento e che l’atto preparato dall’apposito ufficio di Aspi parlava di “rischio crollo” per la struttura tristemente collassata il 14 agosto del 2018, in un tragico crollo che è costato la vita a 43 persone. Ma c’è di più. Gli stessi testimoni, da quanto si apprende tutti componenti del comitato che gestisce “il rischio”, avrebbero anche confermato che il documento sarebbe stato trasmesso, com’è normale attendersi che succeda, ai vertici della holding come anche alle altre società del Gruppo Atlantia.
Queste audizioni sono importanti per l’accusa perché mettono fine alla questione sull’esistenza dell’atto – poi effettivamente scovato dai finanzieri – e sulla sua conoscenza all’interno dell’azienda. Racconti che sostanzialmente hanno confermato gli accertamenti fin qui condotti, in particolare quelli sulle email e sulla corrispondenza sequestrati. Così si scopre che l’atto era ben noto a molti ma che, per diversi mesi dopo la strage, sembrava diventato una chimera. Anzi, per quasi un anno e mezzo, i dirigenti di Aspi davanti ai magistrati oppure davanti alle telecamere dei media hanno più volte negato l’esistenza di un report di Spea, ossia la società che fino al 2019 si è occupata del monitoraggio della rete autostradale, relativo al Morandi e in cui si parlasse di un rischio concreto di crollo.
Un teatrino che, però, è cessato a novembre del 2019 quando la guardia di Finanza, nel corso di alcune acquisizioni, ha scovato il documento all’interno dell’archivio digitale di Atlantia. Come se non bastasse, è stato accertato dagli inquirenti che già nel 2014 in relazione al Ponte di Genova in alcuni atti si parlava, senza mezze misure, di un rischio crollo. Un allarme inequivocabile che, però, successivamente è stato ingentilito. Nel 2017, infatti, non si parla più di rischio crollo piuttosto di un “rischio di perdita di stabilità” che, tradotto in soldoni, significa che sarebbero potuti avvenire danni minori.
Una modifica sostanziale su cui ora si stanno concentrando gli inquirenti per capire chi, come e perché, ha cambiato le carte in tavola. Il sospetto, secondo quanto trapela dalla Procura, è che il management avrebbe ingentilito il report per evitare la chiusura del tratto autostradale con conseguente perdite economiche al casello. Quel che è certo è che con l’arrivo dell’autunno ci sarà la svolta decisiva per l’inchiesta sul crollo del Morandi. A settembre, infatti, è attesa la perizia sulle cause che hanno portato al collasso del viadotto in base al quale, se presenti, verranno individuate le eventuali responsabilità a carico dei 71 indagati tra cui figurano ex vertici di Aspi, di Spea, funzionari del ministero dei Trasporti e tecnici.