Sì al taglio dei parlamentari, ma va rispettato l’accordo sulla legge elettorale. E’ la linea del segretario nazionale del Pd Nicola Zingaretti, che ne parla in un’intervista al Corriere della Sera. “Sosteniamo da sempre la riduzione del numero dei parlamentari – spiega il leader dem – e per anni abbiamo presentato proposte di legge in questo senso”.
“Tuttavia – ha aggiunto – per votare Sì e far nascere il governo abbiamo chiesto modifiche circa i regolamenti parlamentari e una nuova legge elettorale, per scongiurare rischi di distorsioni nella rappresentanza e tutelare adeguatamente i territori, il pluralismo e le minoranze. Tutta la maggioranza ha sottoscritto questo accordo, ora faccio un appello affinché sia onorato”. Per Zingaretti “il Sì va considerato solo un primo passo, in sé insufficiente di una riforma complessiva del bicameralismo e dell’insieme dell’attività legislativa. Come vede, pur nel pieno rispetto dell’autonomia di coscienza di ciascun cittadino, mi impegno a costruire le condizioni più ragionevoli alla scelta del Sì”. Approvare la riforma elettorale in un ramo del Parlamento come chiedevate sembra impossibile, ma secondo il segretario dem “non è così”.
“Se c’è la volontà politica – aggiunge Zingaretti – si può fare molto. Quando si parla di democrazia e istituzioni tutti i momenti sono buoni. Naturalmente accanto a questo c’è la priorità del lavoro, della scuola, della crescita. Confido che si possa aprire tutti assieme una fase nuova dove la politica diriga i grandi processi di trasformazione in corso e non li subisca”.
Un modo, dunque, per sposare la linea del governo – evidentemente a favore del Sì al referendum – ma senza destabilizzare troppo i vertici del partito. Il problema, infatti, è proprio questo: ad essersi espressi per il No al taglio sono stati alcuni vertici dei dem: Tommaso Nannicini, Matteo Orfini e Lorenzo Guerini. Altri, come Vincenzo Amendola e lo stesso Roberto Gualtieri, nicchiano insieme a Zingaretti scaricando eventuali responsabilità proprio sulla direzione del partito. Senza dimenticare, poi, anche una fetta degli amministratori locali, a cominciare da Giorgio Gori, d’altronde da sempre contrario alla gestione “Zinga”.
Senza dimenticare, ancora, una grossa quota di dem rimasti vicino a Matteo Renzi (da Dario Nardella a Luca Lotti passando per Andrea Marcucci) che continuano a ritenere il Sì al referendum l’ennesimo appiattimento sui Cinque stelle. Se però il vertice è spaccato, a non esserlo – secondo molti commentatori e sondaggisti – è la base del partito, fortemente favorevole al taglio dei parlamentari. Ed è questo il dilemma che si vive nella dirigenza del partito oggi: da una parte soddisfare la base pur sapendo che questa potrebbe essere una vittoria squisitamente pentastellata; dall’altra tenere a bada una buona fetta di dirigenti che, come si sa, assicurano voti e consensi rappresentando spesso una parte di parlamentari oggi in carica
Alla fine Zingaretti sarà costretto a sbilanciarsi ed esprimere esplicitamente il suo orientamento per il Sì al taglio. Il punto, però, è se – come chiedono in tanti – dovesse passare la linea del “libero arbitrio”: in quel caso per l’ennesima volta il Partito democratico deciderà di non decidere, facendosi surclassare non solo dal Movimento ma anche dalla Lega e da Fratelli d’Italia che, nonostante non possano dirlo apertamente per non avvantaggiare – anche loro – gli odiati grillini, sul punto perlomeno hanno sempre avuto una linea chiara. La chiave, ovviamente, potrebbe essere – come chiesto anche dal costituzionalista dem Stefano Ceccanti– l’avvio dell’iter sulla legge elettorale. Solo allora, infatti, Zingaretti avrebbe gioco facile a dire che, dopotutto, i Cinque stelle sono stati agli accordi dell’estate scorsa.