di Filippo Conti
Lo psicodramma sul caso di Alma Shalabayeva e gli attacchi al ministro dell’Interno Angelino Alfano nascondono un retroterra di veleni incrociati e trame interne tutte politiche. Molti esponenti del Pd e alcuni organi di stampa, infatti, hanno cavalcato la vicenda per indebolire il governo di Enrico Letta. Ben sapendo che chiedendo le dimissioni di Alfano si puntava direttamente al bersaglio grosso: il presidente del Consiglio. Forse per anticipare le urne. La forte richiesta di dimissioni arrivata da Ezio Mauro su Repubblica, per esempio, lascia presagire uno scenario di questo tipo. Da tempo, infatti, il quotidiano ha sposato la linea di Matteo Renzi e il sindaco di Firenze ora teme di perdere il treno che lo può portare a Palazzo Chigi. Per questo scalpita. Da qui, si può supporre, deriva la pressione dei renziani e di organi di stampa nel chiedere le immediate dimissioni di Alfano. Che avrebbero come conseguenza un’immediata crisi di governo. Il vicepremier, che ieri sera ha riferito in Parlamento sul caso kazako, è il solco ideale in cui inserirsi per terremotare l’esecutivo.
La fronda interna agli azzurri
Ma le polpette avvelenate nei confronti del titolare del Viminale arrivano anche dall’interno del Pdl. L’intervista di Claudio Scajola sul Fatto quotidiano ne è la rappresentazione plastica. «Il governo non poteva non sapere. Io al Viminale mi rapportavo col mio capo di gabinetto tre volte al giorno. Quindi è impossibile che lui non sia stato informato sul blitz di Casal Palocco», afferma l’ex ministro dell’Interno. Ora, che tra i due non corra buon sangue, nel Pdl è risaputo. Anche perché Alfano ha preso proprio il posto che un tempo era di Scajola, quando era coordinatore di Forza Italia. Un’intervista così dura, però, non può essere stata rilasciata a caso ma sembra far parte di una strategia che vede Alfano nel mirino dei falchi del suo partito. Alcuni dei quali premono affinché il vicepremier lasci l’incarico di segretario. Altri, invece, vorrebbe andare al più presto alle urne. «Il Pdl fa quadrato intorno ad Alfano» titolavano ieri i quotidiani. In realtà la situazione è un po’ diversa. Perché molti, nel partito berlusconiano, hanno deciso di cavalcare la figuraccia del ministro per indebolirlo. «La scelta di non lasciare la carica di segretario ha suscitato forti malumori. Parecchie persone se la sono legata al dito. Così ora sfruttano qualsiasi occasione per dare addosso ad Angelino. E ai nemici di Alfano non è parso vero di avere davanti una così ghiotta occasione per logorare l’immagine del ministro» racconta una fonte pidiellina. Tanto più che il Pdl è in una fase molto delicata. Il ritorno a Forza Italia preoccupa molti. E tutti sono in movimento per ricavare uno strapuntino dell’organigramma del nuovo partito. Per questo motivo il gioco di trame e veleni incrociati all’interno della forza berlusconiana è sempre più fitto. E nulla ha da invidiare allo scontro interno al Pd.
Sorrisini in Trasatlantico
L’intervista di Scajola, dunque, è il termometro di una guerra intestina che ora ha visto nel mirino il ministro dell’Interno. Ma un paio di settimane fa ha avuto come obbiettivo Daniela Santanchè. Che non era certa dei voti di tutti i suoi per essere eletta alla vicepresidenza della Camera. «Queste premesse non sono i presupposti migliori per fondare un nuovo partito. Ma Berlusconi ormai ha deciso e andrà avanti. Con la certezza, però, che lo scontro tra correnti e singoli potentati sarà destinato ad accentuarsi», continua la fonte pidiellina.
Alfano, intanto, ha ribadito in Aula alla Camera e al Senato di non essere stato informato sul blitz. E qualche sorriso intercettato in Transatlantico tra gli stessi pidiellini confermano il clima da lunghi coltelli. Perché, ribadisce un deputato, «ha ragione Scajola: o Alfano sapeva, ed è grave che non abbia fatto nulla, oppure non sapeva, ed è ancora più grave, perché significa che non controlla i suoi uomini». Berlusconi sulla vicenda per ora tace. Ma l’intervista di Scajola non gli è piaciuta. Il rischio, per il Pdl, è quello di entrare in una sorta di guerriglia permanente. Come accade nel Pd. Dove il tutti contro tutti è all’ordine del giorno.