La pappa non è ancora arrivata ma un sacco di gente si è già seduta a tavola. E vista la fame di questi tempi, il finale di Miseria e nobiltà, con Totò che si infila in tasca gli spaghetti, sarà nulla a confronto. Parliamo del Recovery Fund, la montagna di miliardi che il premier Giuseppe Conte si è sudato in una delle trattative europee più faticose di sempre. A sentire Salvini si tratta di soldi del Monopoli, ma al segretario leghista non crede più neppure lui stesso, e dunque figuriamoci la solita folla di capitalisti “de noantri”, boiardi, prenditori, Confindustrie varie, persino i partiti e le manine che fanno e disfano nei ministeri. Il Pd, per dire, ha appena proposto una Commissione parlamentare per metter becco sui quattrini, mentre in una Roma semi deserta per il caldo e la paura del Covid si assembrano aspiranti componenti di task force ed esperti nella spesa (tanto quelli capaci di farci guadagnare si trovano quanto gli idraulici a ferragosto). Per mettersi in vista, c’è da scommetterci, questi pavoni faranno a gara nell’esporre le loro piume in lunghe articolesse sui giornali, incuranti del fatto che su quelle stesse colonne fino a pochi giorni fa si diceva peste e corna del capo del Governo e delle sue possibilità di spuntarla al tavolo negoziale con l’Europa. Per chi ha a cuore l’interesse del Paese e non le tasche di Lorsignori parte perciò una missione decisiva: vigilare affinché gli aiuti europei non si trasformino da grande chance per l’Italia in una beffa, col danno di aumentare il debito pubblico e perdere quel briciolo di credibilità internazionale che ci resta.
L'Editoriale