La soluzione al dossier di Autostrade, con l’impegno dei Benetton a farsi progressivamente e definitivamente da parte, ha come primo effetto politico quello di ricompattare l’asse Pd-M5S. Al di là delle fisiologiche tensioni che si registrano su casi delicati, com’era quello di Aspi, è stato l’asse Conte (ovvero M5S)-Gualtieri ad aver condotto la famiglia di Ponzano alla resa e a risolvere il rebus. Perché se è vero che a irritare gli alleati è stata la pubblicazione della lettera indirizzata al premier a marzo da Paola De Micheli, in cui la ministra dem invitava a privilegiare la trattativa con i Benetton, è anche vero che molti nel Pd hanno preso le distanze da quella missiva e dalla stessa ministra. A cui, non a caso, solo successivamente è stato concesso di prendere parte alla riunione che, nella famosa nottata, ha visto confrontarsi, alla ricerca di una soluzione, il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri.
Un metodo fortemente criticato dalla ministra renziana Teresa Bellanova. E qui veniamo al secondo effetto domino del caso Autostrade: ovvero l’arroccamento e l’isolamento di Italia viva. Che, tra l’altro, continua a esprimere perplessità sull’accordo raggiunto su Aspi. Il numero uno del Nazareno, Nicola Zingaretti, è ritornato a chiedere unità in vista delle elezioni. E l’accordo su Ferruccio Sansa in Liguria potrebbe portare a un riavvicinamento di Pd e M5S anche in Puglia e altrove. “In Liguria, Pd e M5S hanno scelto di appoggiare insieme come candidato un giornalista del Fatto Quotidiano. Tutto si tiene”, commenta polemico Matteo Renzi.
Guerriglia pure sulla legge elettorale. Iv ha disertato la riunione della maggioranza, l’ultima prima dell’adozione del Germanicum come testo base prevista ieri in Commissione Affari costituzionali della Camera. Tanto che il voto è stato posticipato a lunedì prossimo. E questo mette a rischio l’approdo in Aula del testo previsto il 27 luglio. Il Pd punta al sì della Camera prima della pausa estiva. M5S ha confermato l’impegno preso a votare il testo, che faceva parte di un accordo complessivo che comprendeva il taglio dei parlamentari. E su cui c’era stato inizialmente anche il sì dei renziani.
Ma oggi il senatore fiorentino, in linea con le opposizioni (e con i dubbi di Leu), si oppone all’impianto proporzionale con la soglia del 5%. “C’è un’accelerazione sulla legge elettorale. Pd e Cinque Stelle vogliono chiuderla in tre giorni. Noi non facciamo le barricate, perché le priorità del Paese oggi sono i posti di lavoro, non i posti in Parlamento”, dichiara Renzi. Eppure proprio la fame di poltrone di Iv ha contribuito a bloccare la partita sul rinnovo delle 28 commissioni parlamentari. Sembrava che un accordo fosse stato raggiunto, quantomeno sui numeri: sette presidenze al M5S sia alla Camera che al Senato, cinque presidenze al Pd alla Camera e quattro al Senato, due presidenze a Iv sia alla Camera che al Senato, una per Leu a Palazzo Madama.
Poi però tutto si è arenato. Nel mirino dei pentastellati è finita Iv che, a detta dei grillini, chiede la Commissione Lavoro e quella Istruzione. Ma M5S non intende cedere sulla Lavoro per alcuni temi bandiera del Movimento, dal dl Dignità al Reddito di cittadinanza fino alla battaglia sul salario minimo. In corsa per un posto al sole c’è Riccardo Nencini, padre del simbolo del partito che ha consentito a Renzi di avere un gruppo parlamentare. A Montecitorio Iv è in corsa con Raffaella Paita (Trasporti) e Luigi Marattin (Finanze).