A parole tutti vogliono cambiare la legge elettorale ma quando è davvero il momento di farlo, ecco che arrivano distinguo e dietrofront. Il più clamoroso rischia di essere quello di Matteo Renzi che proprio nel giorno in cui è stata segnata di rosso la data del 27 luglio, ossia quando approderà in aula a Montecitorio il nuovo testo, ha cambiato le carte in tavola creando, per l’ennesima volta, fibrillazioni nella maggioranza. “Ancora una volta ripetiamo che le priorità di questo Governo e di questa maggioranza per noi devono essere il lavoro, la scuola, le famiglie, le imprese, lo sblocco dei cantieri, le risposte concrete alle persone. Non una nuova legge elettorale” ha spiegato il leader di Italia Viva.
“Detto questo è giusto ricordare che l’attuale testo in discussione alla Camera non è stato né proposto né sottoscritto da Italia Viva. Nessun deputato di IV ha firmato quel testo, che è una iniziativa del presidente della Commissione, Giuseppe Brescia, sul quale ci siamo detti disponibili a discutere” ha dichiarato Renzi precisando che “se vogliono mettere mano alla legge elettorale, per noi di Italia Viva il messaggio è molto chiaro: si faccia una legge maggioritaria, in modo che la sera delle elezioni si sappia chi ha vinto”. Parole di fuoco che, però, nascondono una piroetta d’altri tempi. Già perché ad inchiodare Matteo ci pensano gli alleati del Pd con una nota in cui raccontano tutta un’altra storia: “Sulla legge elettorale è utile richiamare alla memoria di tutti noi la nota congiunta di agenzia con cui i rappresentanti della maggioranza lo scorso 8 gennaio annunciarono il raggiungimento dell’accordo su una legge proporzionale con soglia nazionale di sbarramento del 5%”.
Secondo il vicecapogruppo del Pd alla Camera dei Deputati, Michele Bordo, quella “nota è stata firmata, per il partito del senatore Renzi, dal deputato Di Maio cui seguì una successiva riunione del tavolo di maggioranza sulle riforme tenutasi lunedì 17 febbraio 2020 quando si convenne all’unanimità che ci si sarebbe mossi in modo tale da approvare la nuova legge elettorale in almeno un ramo del Parlamento prima della celebrazione del referendum confermativo sulla riduzione del numero dei parlamentari”. Insomma non solo esisteva un accordo sottoscritto dai partiti della maggioranza ma si faceva riferimento anche ad un preciso periodo di tempo, ciò a testimonianza di quanto la questione fosse ritenuta urgente da tutti dopo decenni di elezioni basate su norme a dir poco strambe.
QUESTIONE DI NUMERI. Inutile dire che la giravolta di Italia Viva ha lasciato sgomenti gli alleati, tanto più che avviene dopo che da settimane Renzi ha assunto un atteggiamento collaborativo con il governo. Proprio per questo nelle chat dei parlamentari dem e di M5s si è scatenato un dibattito con il sospetto, tutt’altro che celato, che il dietrofront può essere spiegabile solo in relazione ai timori che il sistema previsto dall’accordo, ossia il proporzionale con sbarramento al 5%, possa precludere la rappresentanza di Italia Viva in Parlamento. E questo nonostante lo stesso Renzi vada ripetendo, ormai da settimane, di non essere preoccupato dai sondaggi che danno il suo partito sotto il 3% perché “i sondaggi vanno presi con le molle”.