Il Vaticano in soccorso dei vitalizi. La Notizia lo aveva annunciato già quattro mesi fa, non appena tra i membri della Commissione contenziosa erano spuntati come supplenti Giuseppe della Torre e Giovanni Ballarani: un ruolo ufficialmente miserello, data la fama dei due, ma che si è rivelato esiziale per la delibera taglia-vitalizi del 2018. Grazie al loro voto, unito a quello del presidente FI Giacomo Caliendo (contrari i due leghisti Simone Pillon e Alessandra Riccardi, ex M5S), i vitalizi al Senato sono risorti alla grande. E alla Camera Roberto Fico si trova ora in un’impasse: anche se fonti di Montecitorio spiegano che “la sentenza del Senato non modifica il lavoro già fatto” e che “manca ancora un grado di giudizio”, il conflitto tra i due rami del Parlamento potrebbe arrivare fino alla Consulta.
MANINA FATATA. Il capo politico M5S Vito Crimi ha subito puntato il dito accusatore: “Chi dobbiamo ringraziare, la presidenza?” è stata infatti la presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati – sebbene si sia chiamata fuori: la presidenza “non c’entra nulla con la decisione della Commissione, che è un vero e proprio tribunale” – a nominare i due giuristi che hanno demolito la delibera del Senato. Giovanni Ballarani è docente di diritto privato alla Pontificia università lateranense, dove la stessa Casellati si è laureata in diritto canonico. E Giuseppe della Torre del Tempio di Sanguinetto (nobile casato di origine padovana, la città dove vive la signora), è stato presidente del tribunale vaticano dal 1997 fino allo scorso settembre, quando papa Bergoglio lo ha sostituito con l’ex capo della procura di Roma, Giuseppe Pignatone.
Ancora non si conoscono i dettagli della sentenza. Ma che si tratti di un annullamento in toto o solo in alcune parti, la linea anti-tagli era chiara fin dall’estate scorsa, quando alla Casellati, in appello, sono stati liquidati gli arretrati per i tre anni e spicci in cui è stata membro del Csm. Nonostante il divieto di cumulo tra il vitalizio e il lauto stipendio percepito dal 2014 al 2018, la sentenza – arrivata proprio dopo che Queen Elizabeth è divenuta presidente del Senato – le ha permesso di intascare circa 200mila euro netti. In primo grado le erano stati negati. La contenziosa non ha deviato dall’input. L’anno scorso (oltre a Caliendo e Pillon c’erano la M5S Linda Evangelista e i due esterni Cesare Martellino a Alessandro Mattoni) ha dato il via libera a una “pensione sociale” di 700 euro per Roberto Formigoni, l’ex governatore Fi privato del vitalizio perché condannato in via definitiva per corruzione, e deciso il ricalcolo, a favore degli ex senatori, dell’assegno di fine carriera, decurtato anche quello nel 2018.
A ricorrere erano stati due forzisti, Antonio D’Alì e Giuseppe Marinello, ma la commissione ha esteso il ricalcolo al centinaio di senatori cessati nel marzo 2018, compresi quelli che non avevano fatto ricorso. Come Nitto Palma, il capo gabinetto della Casellati. Forzista come Caliendo e la presidente. La sentenza D’Alì-Marinello non è mai stata impugnata dal Senato. Che cosa farà stavolta il segretario generale Elisabetta Serafin? La vicepresidente Paola Taverna ha già chiesto la convocazione del consiglio di presidenza e, almeno sulla carta, tutti i gruppi dovrebbero essere d’accordo su un ricorso (persino Matteo Salvini ha definito la sentenza “una vergogna”).
Ma dal dire al fare c’è di mezzo il mare: a giudicare in merito sarebbe il consiglio di garanzia, dove 4 membri su cinque sono di centrodestra e il presidente è Luigi Vitali, vecchio compagno di partito di Caliendo, Casellati, Palma e Maurizio Paniz, l’avvocato di molti tra i 771 ricorrenti. Sono proprio loro, i vecchi forzisti, la punta di diamante della Casta grigia. Alla faccia di un Antonio Tajani che ha rivendicato, imbarazzato, il fatto che “Forza Italia ha tagliato i vitalizi nel 2012”. Grazie a loro, li ha anche ripristinati nel 2020.