“Non credo che a Reggio Calabria sarebbe scoppiata una faida perché c’erano troppi interessi in ballo e alla fine avrebbe prevalso l’interesse economico”. Ad affermarlo è il giornalista Klaus Davi commentando i 21 arresti di ieri contro gli affiliati ai clan De Stefano e Tegano, tra i quali vacillava da tempo una pax mafiosa.
Da tempo si occupa di ‘ndrina con articoli e iniziative come quando, nel 2018, tappezzò Reggio Calabria di poster raffiguranti Gino Molinetti con in mano una colt. Due anni dopo le indagini le hanno dato ragione e l’uomo è stato arrestato. Come ha potuto anticipare la giustizia?
“Tutto è iniziato con un primo articolo nel 2016, poi i manifesti del 2018 e altre inchieste. Vede quando andavo a Reggio mi recavo sempre al quartiere Archi dove, andando in giro, ho raccolto informazioni su questa figura che era evidentemente apicale e che si stava creando un gruppo proprio”.
Curiosamente Molinetti per quei poster sporse querela per stalking, poi archiviata, nei suoi confronti. Cosa successe?
“Partiamo da un punto fermo: per fare una querela un uomo di ndrangheta, ce ne vuole. Vuol dire che ho violato una regola della ndrangheta e sarebbe interessante capire quale. Tra l’altro mi ha querelato per stalking, accusa poi caduta, perché si sentiva perseguitato dato che lo cercavo per fargli qualche domanda”.
Denunce e querele sono diventate una strategia delle ndrine per tappare la bocca ai giornalisti?
“Assolutamente si perché è un modo per farti spendere soldi e intimidirti. Sono migliori degli attentati perché attirano l’attenzione delle procure. Se vuole saperla tutta, mi fanno più paura le querele che le minacce perché se perdi le prime poi sono dolori. Inoltre la querela è inquietante perché presuppone che c’è stato un ragionamento per fermare qualcosa di scomodo”.