Dopo la kermesse-pensatoio di dubbia rilevanza come quella degli Stati generali a Villa Pamphilj, alquanto snob e parolaia, dove la disperazione e il rancore sociali sono stati innaffiati con nuovi panglossismi, panegirici e panzane (per non perdere l’abitudine col suffisso “pan” di pandemia), dire Covid-disastro è poco. Interi comparti industriali in ghiacciaia, finanziamenti a fondo perduto col contagocce, prestiti alle piccole e medie imprese finiti subito nelle grinfie dei banchieri e delle loro fiaccanti certificazioni (solo il 24% delle aziende che hanno chiesto più di 25mila euro li avrebbe ottenuti), la “società dei consumi” che affonda i suoi scarponi nella mota dei portafogli sgonfi e del “vorrei ma non posso”, esercizi commerciali che non hanno mai riaperto, fatturati in caduta verticale, professionisti e partite Iva che non sono andati oltre qualche obolo riscosso con colpevole ritardo, un autunno che si annuncia carico di licenziamenti di massa, scioperi, rubinetti a secco e saracinesche sempre più abbassate.
In più, Confcommercio e Confesercenti che parlano di una flessione dei consumi entro fine anno compresa tra i 91 e 110 miliardi, di 270mila imprese e 1 milione di posti di lavoro a rischio, cassintegrazioni non bonificate, dopo le ennesime promesse da marinaio del presidente dell’Inps, Tridico, e la figuraccia del click day spiegato alla plebe (ci vedono così) come agguato informatico. Gli happening di sensibilizzazione come le infermiere coi palloncini rossi in mano e senza il bonus in tasca; e i ristoratori che si sono messi in ginocchio per tasse e spese troppo alte, non hanno per ora sortito alcun effetto, relegando la questione a quella “privatizzazione della speranza” di baumaniana memoria. Ecco il bassissimo profilo di una economia impantanata e senza forti arbusti a cui aggrapparsi.
Val la pena leggere un piccolo pamphlet di Michael Roberts (nella foto), economista marxista, (Un’economia di guerra? Asterios, scaricabile gratuitamente da qui) che rimarca la rilevanza che ebbe il bazooka rooseveltiano all’epoca del New Deal durante gli anni ‘30, e come la spesa federale americana crebbe dal 1942 al 1945 ad una media di circa il 40% del Pil: “Una volta finito l’attuale blocco pandemico, quello di cui c’è bisogno per rilanciare la produzione, gli investimenti e l’occupazione, è proprio qualcosa che somigli all’economia di guerra; non un salvataggio delle grandi aziende per mezzo di sovvenzioni e prestiti affinché possano tornare alla solita routine. Questa recessione può essere invertita solo attraverso misure simili a quelle belliche, vale a dire, massicci investimenti pubblici, proprietà pubblica dei settori strategici e direzione statale di quelli che sono i settori produttivi dell’economia”. Un fiore per la nostra fu-democrazia.