Comunque la si voglia vedere, la nomina di Raffale Cantone al vertice della Procura di Perugia è un gran pastrocchio. Non di certo per le qualità indiscutibili del magistrato ma per gli strascichi e le divisioni che la sua scelta ha e sta causando all’interno del Consiglio superiore della magistratura. A 48 ore dalla nomina a Palazzo dei Marescialli la vicenda continua a tenere banco con le minoranze che hanno ribadito tutto il loro disappunto e chiesto, con urgenza, che vengano rivisti i meccanismi di funzionamento del Csm.
TUTTI CONTRO TUTTI. In poco più di due ore, con due distinti comunicati, prima il gruppo di Autonomia & Indipendenza e dopo quello di Magistratura Indipendente hanno riacceso lo scontro. Secondo il gruppo di Piercamillo Davigo, di cui fanno parte i consiglieri Sebastiano Ardita, Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, “lasciamo ai colleghi l’interpretazione dei criteri attitudinali specifici per gli uffici requirenti di medie dimensioni indicati dall’articolo 17 del Testo Unico sulla Dirigenza, che a noi sembravano inequivoci nell’indicare la prevalenza del dottor Masini sotto tutti i profili”. A parer loro “è stato nominato procuratore di Perugia un magistrato che non svolge funzioni requirenti dal 2007, con un passaggio sostanzialmente diretto da un importante incarico fuori ruolo di nomina politica all’incarico direttivo” al posto del procuratore aggiunto di Salerno, Luca Masini, che ha “27 anni di esperienza nelle funzioni requirenti, con incarichi semidirettivi positivamente svolti e con la positiva esperienza come facente funzioni in un’importante procura distrettuale”.
Alla luce di ciò, “nell’attesa di una proposta della Quinta Commissione per la modifica del Testo Unico della Dirigenza e in una situazione che a nostro avviso non vede sempre ugualmente valorizzata l’esperienza professionale acquisita nell’esercizio delle funzioni, dobbiamo augurarci che quanto prima veda la luce una riforma legislativa che ponga fermi limiti alla discrezionalità del Consiglio e imponga un congruo periodo di rientro nelle pregresse funzioni per il magistrato proveniente dal fuori ruolo o dal Csm”. Addirittura più duri i togati del gruppo di Magistratura Indipendente, Loredana Miccichè, Antonio D’Amato e Paola Braggion, secondo cui la nomina di Cantone sarebbe addirittura inspiegabile. “Come rilevato in plenum non trattandosi di incarico al Ministero della Giustizia o in organi costituzionali” quello rivestito dall’ex vertice dell’Anac, “non abbiamo ritenuto sussistente una spiccata affinità dell’incarico alla funzione giudiziaria” a differenza di quanto sostenuto dai colleghi di Area.
Per questo è necessaria “una riflessione sulla opportunità di un periodo di attività negli uffici giudiziari successivo al ricollocamento in ruolo” per evitare il ripetersi di situazioni simili e che si vengano a creare due pesi e due misure a causa dell’eccessiva discrezionalità nelle mani del Consiglio. In altre parole è tempo di riformare il Csm per bloccare le cosiddette porte girevoli tra toghe e politica. Proprio quello che sta cercando di fare il guardasigilli, Alfonso Bonafede, con la prossima riforma che se fosse già realtà avrebbe evitato ogni polemica. L’intento del ministro, infatti, è di introdurre la regola secondo cui i magistrati che hanno deciso di accettare un incarico lontano dai Palazzi di giustizia, venendo collocati fuori ruolo come accaduto per Cantone che ha ricoperto il ruolo di presidente dell’Anac, non potranno subito tornare a occupare uffici di procuratori capo o aggiunto ma saranno costretti ad aspettare due anni per proporsi.