Solite banche. Con le imprese allo stremo a causa dell’emergenza coronavirus, che ha generato una pesantissima crisi economica e ha fatto finire gli imprenditori senza liquidità, il Governo ha dato proprio il nome liquidità a un decreto con cui ridare ossigeno al sistema produttivo, prevedendo prestiti rapidi e garantiti dallo Stato. Ma le solite banche, incaricate di erogare quel denaro, stanno ritardando nell’erogazione dei prestiti e lasciando così le aziende prive di quel denaro di cui hanno un vitale immediato bisogno. Una pagina nera su cui sta compiendo accertamenti l’Antitrust e su cui il senatore pentastellato Primo Di Nicola ha presentato un’interrogazione.
SOTTO LA LENTE. Visto quanto sta accadendo, l’Antitrust ha avviato quattro istruttorie nei confronti di altrettante banche e società finanziarie. Nello specifico su Unicredit, Intesa San Paolo, Banca Sella e Findomestic. Tutto “per problematiche emerse sia sull’assenza di informazioni sulla tempistica per avere accesso alle varie misure di sostegno dettate in favore di microimprese e consumatori, che di chiare indicazioni sugli oneri derivanti dalla sospensione del rimborso dei finanziamenti concessi alle imprese, in termini di aumento degli interessi complessivi rispetto al totale originariamente dovuto quale effetto dell’allungamento dei piani di ammortamento”.
Per l’Authority, tra l’altro, le banche avrebbero posto indebite condizioni all’accesso a tali misure, quali l’apertura di un conto corrente o possedere specifici requisiti non previsti dalla normativa, oppure avrebbero cercato di dirottare i richiedenti verso forme di accesso al credito diverse e potenzialmente più onerose rispetto a quelle di cui al decreto Liquidità. Nei confronti di altre 12 banche e finanziarie, ovvero Bnl, Banco Bpm, Ubi Banca, Crédit Agricole, Credem, Mps, Banco popolare di Sondrio, Creval, Bcc Pisa, Agos Ducato, Compass e Fiditalia, l’Antitrust ha infine avviato un’attività di moral suasion avendo riscontrato le stesse carenze di tipo informativo sulla tempistica di risposta e sulle effettive condizioni economiche di accesso alla sospensione dei rimborsi dei finanziamenti.
C’è CHI DICE NO. Con i prestiti che devono erogare le banche non va dunque tutto bene. L’Abi ha fatto sapere che l’11 giugno le domande pervenute dalle Banche al Fondo di Garanzia hanno superato le 600mila e che i finanziamenti richiesti hanno superato i 30 miliardi di euro. Ma non va tutto bene. Il senatore Di Nicola ha così deciso di sollevare il caso in Parlamento. “Il decreto Liquidità – ha dichiarato l’esponente pentastellato – che proprio pochi giorni fa al Senato abbiamo definitivamente convertito in legge, era nato in pieno lockdown con un solo obiettivo: garantire alle imprese italiane flussi di liquidità adeguati, per ovviare allo stop dell’attività a causa del coronavirus.
Nonostante le tante migliorie apportate al testo in sede di conversione, il meccanismo di erogazione risulta ancora farraginoso, e tanti piccoli imprenditori si trovano alla mercé di istituti di credito molto cauti nel concedere i finanziamenti”. Il senatore del Movimento 5 Stelle evidenzia così che la garanzia al 100% da parte dello Stato non viene comunque vista dagli stessi istituti di credito come sicura, perché qualora poi l’impresa destinataria dell’erogazione non dovesse riuscire a restituire il denaro, potrebbe aprirsi lo scenario per la banca dell’incauto affidamento. “Su queste lungaggini è necessario un surplus di intervento”, ha tuonato.
Riceviamo e pubblichiamo.
Chiarisce Findomestic: “Noi eroghiamo in via quasi esclusiva credito ai privati ma non mutui immobiliari. I finanziamenti alle PMI, oggetto dell’istruttoria, sono una parte residuale delle nostre attività. In ogni caso abbiamo subito recepito in toto le indicazioni del DL “Cura Italia” del 17 marzo. Abbiamo accolto, senza alcun costo accessorio, il 99% delle richieste di sospensione del finanziamento pervenute dalle PMI, il restante 1% non aveva i requisiti previsti dal decreto”.