La riunione dei capi di Stato e di Governo del 19 giungo, quella con cui verrà esaminata la proposta della Commissione Ue di un piano da 750 miliardi di euro per contrastare la crisi innescata dalla pandemia – il piano “Next generation Eu” – si avvicina a grandi passi e le fibrillazioni iniziano a sentirsi anche dalle parti di Palazzo Chigi. “Se la proposta della Commissione sul Recovery fund esce umiliata dalle trattative tra gli Stati membri, l’Italia pianterà i suoi paletti sul bilancio pluriennale europeo”, incalza il premier Giuseppe Conte al telefono con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, nonostante le rassicurazioni arrivate anche dal presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno. Che nel corso di una videoconferenza organizzata ieri dall’Economist ha tenuto a precisare che nel Recovery Fund “non ci saranno condizioni in stile Troika, quei giorni fortunatamente sono finiti. Ci saranno condizioni di spesa dei fondi legati a priorità d’investimento Ue come per i fondi strutturali”, ha aggiunto, sottolineando anche che la richiesta di riforme ai governi “fa parte del processo ma la parola riforma non è una parolaccia”.
E ancora: “Sono certo che troveremo punti in comune per un accordo che includerà sovvenzioni e prestiti”, precisando però che sebbene nel fondo vi sia una componente di solidarietà, non sono coinvolti trasferimenti permanenti e sono previsti rimborsi con tempi lunghi per “evitare a tutti i costi di essere esposti a una seconda ondata di crisi” economica”. In ogni caso quello del 19 giugno non sarà il vertice decisivo per l’intesa a 27, il commissario agli Affari economici Ue Paolo Gentiloni ritiene “possibile che l’accordo al Consiglio europeo arrivi a luglio, quando comincerà la presidenza semestrale tedesca dell’Ue, e anche questo aiuterà”. Al vertice dei leader Ue servirà l’unanimità, e dunque tutto fa pensare che il prossimo Consiglio sarà solo il primo round e il peso specifico che metterà in campo la Germania potrà essere determinante per sbloccare i negoziati, che vedono ancora su posizioni ostili i cosiddetti “frugali” (Austria, Olanda, Danimarca e Svezia a cui si è aggiunta in seconda battuta la Finlandia) che vedono come la peste il fatto di dare soldi a fondo perduto.
Per non parlare del premier ungherese Viktor Orbán, che ha definito il piano proposto da Ursula von der Leyen “assurdo e perverso”. Alla luce di tutto ciò, è comprensibile che il governo italiano tema un ridimensionamento eccessivo del rapporto prestiti/sovvenzioni, ed è pronto a dare battaglia insieme a Francia e Spagna: il premier Conte ha un assoluto bisogno di raggiungere un’intesa politica sul Recovery fund – per questo ieri ha rassicurato Michel sul fatto che l’Italia sta preparando il piano di riforme da sottoporre a Bruxelles per ottenere gli aiuti, il cosiddetto Piano nazionale di riforme – e segnare così un punto fondamentale a suo favore. Per tutta una serie di motivi: innanzitutto l’Italia sarebbe il principale beneficiario del Recovery Fund presentato dalla Commissione con 172,7 miliardi di euro (81,8 di sovvenzioni e 90,9 di prestiti). E poi perché dall’entità dei fondi portati a casa (e dalla tempistica) dipende anche un’eventuale richiesta da parte di Roma dei 37 miliardi disponibili con la linea di credito per le spese sanitarie del Mes: le questioni Mes-Recovery Fund sono legate, con un’intesa soddisfacente sul secondo, l’Italia potrebbe non aver bisogno di altro, mentre teoricamente potrebbe quasi esserci costretta in caso di taglio drastico dei sussidi.
Anche perché una parte consistente della maggioranza, Pd in testa, e pure parte dell’opposizione (Silvio Berlusconi) reclama a gran voce i miliardi di euro del Fondo salva Stati immediatamente disponibili. Per Conte quella del Mes è una grana vera anche perché sebbene la linea maggioritaria all’interno dei 5S sia quella contraria, iniziano ad emergere anche posizioni favorevoli. Il deputato Francesco D’Uva interpellato sull’argomento da La Notizia ribadisce che “sulla trattativa l’Italia ha stupito tutti e l’Europa adesso inizia a parlare la lingua della solidarietà. In confronto il Mes appare limitato e superato” ma vi è anche chi, come il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, rispondendo a una domanda sul Mes appare più possibilista: “I soldi per il servizio sanitario nazionale devono arrivare anche dall’Europa: 20, 25 miliardi per la sanità. Abbiamo bisogno di una programmazione a lungo termine, basta con l’utilizzo dei soldi per tamponare delle situazioni. Serve qualcosa di strutturale”.