di Maria Elena Vancini
La sua storia è da manuale. Antonino Gasparo, presidente della Cila (Confederazione italiana lavoratori artigiani) è un tipico self made men che ha cominciato a lavorare giovanissimo apprendendo, come racconta lui stesso, le cosiddette “arti” e “mestieri”. Oggi guida una confederazione con 18mila imprese associate in 13 regioni italiane ed è in prima fila per difendere le micro aziende artigiane e del commercio misto che hanno problemi infiniti, dall’accesso al credito alla burocrazia, dal fisco all’occupazione. La Cila, nata nel 1985 dopo il varo della legge 443 sull’artigianato, punta a dare fiato alle piccole imprese oggi al collasso.
Lei sostiene che quella legge ha funzionato da spartiacque per l’artigianato italiano. Cioè?
La legge quadro ha alterato l’importante rapporto “uno a uno” fra gli operai delle imprese artigiane e l’apprendista che secondo noi è un tema centrale. Spiego meglio: l’apprendista deve nascere nella “bottega”, deve apprendere e sviluppare la preziosa professionalità che si forma durante le otto ore a stretto contatto con il “maestro Artigiano” al fine di mantenere il livello di qualità richiesto per questo settore cardine dell’economia. Non solo. Quella legge fu il prodotto dell’interesse del mondo industriale ad accedere alle agevolazioni previste per l’artigianato. E poi, malgrado l’articolo 45 della Costituzione reciti: “La Legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato”, da decenni stiamo andando nella direzione opposta. Sa che cosa è successo dopo il 1985? Migliaia di piccoli imprenditori, a causa di inadempienze da parte delle regioni, si sono trovati in grosse difficoltà finanziarie e non hanno potuto offrire i propri servizi alla collettività e ai cittadini”
Insomma, malgrado le buone intenzioni, il mondo delle piccole imprese artigiane sarebbe abbandonato a se stesso…
“Noi abbiamo sempre fatto la nostra parte proponendo riforme per interventi agevolativi, tendenti all’annullamento degli oneri eccessivi a carico delle categorie imprenditoriali più fragili. Vogliamo il sostegno statale all’apprendistato, istituendo, anche un “presalario” per gli artigiani in pensione, che potrebbero cosi insegnare in bottega l’arte del loro mestiere, acquisito nel corso della vita lavorativa alle giovani generazioni. I nodi centrali su cui è necessario intervenire immediatamente sono: 1) un concreto ed efficace intervento finanziario per le micro e piccole imprese, per evitare che si ripetano comportamenti estremi e dalle conseguenze irrimediabili e permettere loro, al contrario, di poter continuare a lavorare con maggiore serenità. 2) un sostegno nell’accesso al credito garantendo le richieste di affidamento creditizio rivolte al sistema bancario. 3) la sospensione o quantomeno la riduzione degli oneri fiscali e di avviamento a carico dell’artigiano rendendo più snella la burocrazia e semplificando anche gli adempimenti amministrativi. E poi smettiamola di parlare dell’articolo 18: risulta solo un diversivo da dare in pasto alla stampa, per evitare di affrontare problemi più seri come l’apprendistato e la tutela della qualità del lavoro artigiano”.
A proposito di accesso al credito, esistono le Cooperative artigiane di garanzia e credito...
“Giusto, ma va anche detto che il ruolo di queste Cooperative fu fondamentale negli anni ’50 per il settore dell’artigianato. Da allora il Governo dovrebbe ripristinare il termine “credito”, a suo tempo eliminato, proprio nell’interesse delle micro e piccole imprese. In sostituzione delle Cooperative, oggi sono nati i Confidi, che nulla hanno a che fare con il ruolo che svolgevano le Cooperative di Garanzia, che erano costituite da artigiani e che al proprio interno convivevano con le associazioni di categoria. Sono queste Cooperative che conoscono le difficoltà degli artigiani e le modalità per intervenire e aiutarli, evitando loro protesti e il ricorso all’usura. La Cooperativa di Garanzia è lo strumento migliore per aiutare il settore dell’artigianato. Interventi finanziari di massimo 5.000 euro non tolgano nulla alle banche, ma possono essere l’ancora di salvezza per molti micro e piccoli imprenditori. Un intervento dello Stato o della Bce come garanti del credito erogato dalle banche, inoltre, potrebbe ridurre sensibilmente il fenomeno del credit crunch”.
Altro tema cruciale sono i costi eccessivi dell’apprendistato per i giovani tra i 18 e i 29 anni. I contributi a carico dell’azienda vanno da un 1,5% del primo anno, al 3% del secondo e addirittura al 10% per il terzo anno…
“Se teniamo conto che gli apprendisti percepiscono 13 o 14 mensilità più una mensilità accantonata a titolo di tfr, il costo medio mensile, di un apprendista fino a 24 anni è di 1.450 euro mese mentre per quelli oltre i 24 anni il costo è di 1.600 euro circa. Non sono costi sostenibili, soprattutto in un momento di recessione come l’attuale. Basti pensare che i costi annui medi che deve sostenere un’azienda artigiana, senza dipendenti e senza tenere conto dell’usura macchinari, dell’affitto del locale e del consumo energetico, ammontano a circa 5.500 euro per anno, tenendo conto solo dei contributi, che bisogna comunque sostenere anche se non si lavora. Considerato poi che gli studi di settore impongono all’imprenditore un reddito medio di circa 18.000 euro, le tasse per l’azienda ammontano all’incirca a 4500 euro anno. E’ possibile pensare che così si possano evitare migliaia di fallimenti e chiusure?”.