E’ caos totale sull’election day. Il governo si ritrova accerchiato e al momento individuare la via d’uscita è impresa ardua. Come ha suggerito il comitato tecnico scientifico l’esecutivo ha previsto di accorpare in unica tornata elettorale da tenersi in due giornate (domenica e lunedì) regionali, amministrative, suppletive e referendum sul taglio dei parlamentari. Gli esperti hanno consigliato di aprire e chiudere le urne a settembre e non dopo, quando la diffusione del coronavirus potrebbe avere una nuova accelerazione. Dopo numerose mediazioni è stata individuata una finestra dal 15 settembre al 15 dicembre nel decreto elezioni ed è stata indicata dal governo orientativamente la data del 20 e del 21 settembre.
Ma i governatori di Liguria, Puglia, Veneto, Campania e Marche hanno alzato un muro contro il governo. Obiettivo dei presidenti di Regione – che a tal fine hanno scritto al capo dello Stato e il presidente della Conferenza Stato Regioni, Stefano Bonaccini, avrebbe avuto un colloquio telefonico con Sergio Mattarella – è votare al più presto. A dare indicazioni chiare su come la pensano è il presidente della Liguria Giovanni Toti: “Chiediamo di votare nella prima finestra utile che è la fine di luglio, ove il governo e il parlamento decidano qualcosa di diverso, cinque Regioni sceglieranno di comune accordo di votare nella prima data utile, il 6 settembre”. Diverse le argomentazioni a sostegno: prima fra tutte la scuola. La data del 20 settembre impatterebbe sulla scuola a pochi giorni dopo il ritorno in classe e costringerebbe a un secondo stop se si considerano i ballottaggi.
Di tutt’altro avviso le opposizioni in Parlamento. Lega, FI e FdI chiedono invece uno slittamento rispetto al 20 settembre e cerchiano come data ideale il 27 settembre. Anche qui non mancano le argomentazioni a sostegno. Anticipare troppo significherebbe assestare un ulteriore colpo al settore del turismo già in affanno e si mortificherebbe la campagna elettorale comprimendola eccessivamente. Il punto è che se le Regioni vogliono possono decidere in autonomia: il governo non ha la competenza sulla data delle elezioni regionali. E’ quanto stabilisce la Costituzione. “La data delle elezioni va condivisa tra tutte le forze politiche. Ma ciò che dovrebbe essere scontato è l’election day, ovvero una data unica per regionali, comunali e referendum. Rispettiamo l’autonomia delle regioni ma guidata dal buonsenso e senza spreco di danaro pubblico”, afferma il pentastellato Carlo Sibilia.
Secondo Stefano Ceccanti (Pd) se il Governo dovesse accontentare il centrodestra e far slittare l’election day, i governatori potrebbero prendere tale atto come provocazione e fissare le Regionali davvero il 6 settembre. In questa prospettiva il 20 settembre potrebbe rappresentare una giusta mediazione. Nel centrodestra, poi, c’è chi è disposto ad accettare il 20 in cambio dell’accorpamento del referendum con i ballottaggi che dovrebbero tenersi il 4 e il 5 ottobre. Insomma: se si anticipa troppo si fa un torto alle opposizioni, se si va un po’ più in là le Regioni si irritano. E c’è ancora un altro problema. Ieri il premier ha incontrato il Comitato promotore del referendum costituzionale contrario ad accorpare il quesito referendario con altre votazioni politiche. Giuseppe Conte avrebbe assicurato loro “un supplemento di riflessione e di confronto con i partiti della maggioranza” su un eventuale scorporo. Ieri si è tenuta la discussione generale alla Camera del decreto che fissa la finestra temporale per l’election day. Ma le votazioni cominceranno solo l’8 giugno. C’è ancora tempo allora per trovare un punto di caduta.