di Andrea Koveos
C’è una domanda in crescita di cultura italiana. Purtroppo, la sua promozione è legata a modelli superati e costosi”. Parola di diplomatico. Queste frasi di Enrico De Agostini, ex console italiano di Johannesburg dal 2007 al 2012, rendono un quadro chiaro della situazione in cui versa la maggior parte degli istituti italiani di cultura all’esterno.
Enti costosi, appunti. Per le 89 strutture sparse in tutti i continenti, infatti, dal Gabon all’Honduras, il Ministero degli affari esteri sborsa 13 milioni di euro con cui copre le spese per il funzionamento e le attività. Nel corso del 2010 è stata erogata una somma complessiva di quasi 14 milioni, con una media di stanziamento per istituto pari a circa 156 milioni di euro. Nel corso del 2011 è stata erogata invece ai 90 istituti (89 più la riattivata sezione di Hong Kong) la somma di oltre 12 milioni e lo stesso vale per il 2012.
Anche in tempi di ristrettezze economiche, dunque, lo Stato non rinuncia a finanziare questi istituti e i relativi dirigenti che percepiscono stipendi con picchi di oltre 150mila euro l’anno.
Ma non finisce qui. I direttori vengono nominati dalla politica, che sembra non preoccuparsi più di tanto dei meriti dei candidati, anche se la legge (401 del 1990, art. 14 comma 6) parla di “personalità di chiara fama”. Senza andare in Madagascar, alle isole Samoa piuttosto che in Kenya, Bolivia, Lituania o Suriname, esempi di spreco italiano se ne possono trovare anche nel vecchio continente. A Bruxelles, tanto per fare un esempio, esistono tre ambasciate che potrebbero essere ridotte a una con tre settori di competenza per ognuno di questi organismi.
Una razionalizzazione che potrebbe essere estesa a tutti quegli istituti che pagano l’affitto in strutture esterne alle ambasciate con una riduzione drastica dei costi e che non provocherebbe alcun taglio di personale. Tanto per rimanere in tema di produttività, c’è da dire che questi enti, vengono spesso scavalcati dagli organismi locali che scelgono strumenti più efficaci di promozione come teatri dell’opera, cinema, musei.
Alle spese per gli istituti, vanno aggiunti i costi delle 8 scuole pubbliche italiane presenti all’estero (Asmara, Addis Abeba, Parigi, Atene, Madrid, Barcellona, Zurigo, Istanbul) che superano abbondantemente i 42 milioni di euro l’anno. “Si tratta di una tipologia assolutamente insostenibile – ha aggiunto De Agostini – dal punto di vista dei costi-benefici.
Un sistema che prevede l’invio di insegnanti di ruolo dall’Italia, con il pagamento delle spese di trasferimento e dell’indennità di servizio all’estero. Una vera follia, quando ci sono fior di neo laureati senza lavoro. Otto scuole, inoltre, non costituiscono una rete di dimensioni sufficienti ad assicurare la continuità didattica a figli di espatriati che si spostano nel mondo e, francamente, non sono attraenti per gli stranieri che sanno già che un giorno i propri figli andranno all’università nel mondo anglo sassone, francese o tedesco.
La soluzione che abbiamo trovato a Johannesburg è quella di una scuola dove l’italiano sia insegnato a tutti i bambini ogni giorno, e le altre materie siano insegnate in inglese (o nella lingua del posto), ma secondo le priorità della nostra cultura”.
E c’è da scommetterci che a breve ci si porrà di nuovo la stessa identica domanda: cosa fare degli istituti italiani di cultura sparsi in tutto il mondo? Il pericolo dei tagli alla spesa si è manifestato più volte, più di qualcuno ha mosso accuse pesanti parlando di carrozzoni improduttivi.
Una cosa è certa: i programmi di molti istituti non sono né efficaci, né rappresentativi della cultura nel nostro Paese.