Non arrabbiatevi per difendermi. Con queste parole, lanciando un messaggio tramite Facebook, Silvia Romano ha dato l’ennesima lezione a un Paese con troppi e spesso insospettabili odiatori. Ha dato la risposta migliore a chi è arrivato a definirla terrorista in un’aula parlamentare, come il deputato leghista Alessandro Pagano, e ai tanti leoni da tastiera che, anziché gioire per una 24enne liberata dopo un anno e mezzo di prigionia e tornata in Italia viva, ha iniziato a gettare veleno su una giovane colpevole soltanto di essere partita alla volta del Kenya per aiutare i bambini africani, abbandonando gli agi di Milano e finendo nelle mani dei terroristi somali. Per capire chi è il gigante e chi i nani, dove sta il Paese migliore e dove quello di cui provare vergogna, basta un attimo.
IL POST. La giovane cooperante ha voluto ringraziare gli amici e quanti le sono stati vicini nei lunghi mesi del sequestro. “Sentivo che avreste visto il mio sorriso e avreste gioito perché sono viva e sono qui. Ho seguito il cuore – ha scritto – e quello non tradirà mai. Non arrabbiatevi per difendermi, il peggio è passato”. Sulle inqualificabili polemiche relative alla sua conversione all’Islam e l’abito islamico indossato al momento in cui è atterrata a Roma, Silvia Romano ha precisato che non vedeva l’ora di riabbracciare i suoi cari e dir loro quanto li ami, “nonostante” il vestito. “Il peggio è passato, godiamoci questo momento”, ha infine sottolineato la volontaria. Non ci sono però soltanto gli haters.
L’INIZIATIVA. In appena 24 ore, sono state così raccolte ben 24mila firme nella campagna Change.org/SilviaRomano, lanciata sulla piattaforma di petizioni online da un gruppo di utenti firmati “Restiamo Umani”, in difesa della cooperante. “Il rumore della gogna mediatica a cui Silvia è sottoposta è assordante. Non permetteremo che continui a rimbombare nelle sue e nelle nostre orecchie”, si legge nell’appello che chiede all’Ordine dei giornalisti di prendere i “dovuti provvedimenti disciplinari, perché il Codice deontologico ha un valore e va rispettato”, nei confronti di alcune testate giornalistiche accusate di avere incitato l’opinione pubblica “all’odio religioso e di genere” nei confronti di Silvia.
L’INCHIESTA. Le troppe minacce ricevute rischiano intanto di costringere la 24enne, sopravvissuta all’inferno somalo, a vivere sotto scorta e le indagini sui tanti attacchi alla volontaria proseguono. Accertamenti a cui la cooperante sta collaborando, avendo inviato agli inquirenti milanesi gli screenshot dei messaggi minatori e degli insulti ricevuti. Un’inchiesta coordinata dalla sezione antiterrorismo della Procura di Milano, guidata da Alberto Nobili. E alcuni profili sono ora monitorati dai militari dei Ros che indagano per minacce. Messaggi inquietanti lanciati soprattutto tramite profili fake, su cui gli investigatori stanno compiendo accertamenti, cercando di stabilire chi si celi dietro quei profili e se vi sia una regia organizzata. Senza contare che ignoti hanno anche lanciato una bottiglia contro la palazzina in cui vive la 24enne. Una campagna di odio vergognosa, contro cui continuano ad arrivare condanne. E non solo da parte di un’ampia fetta della politica. ‘”Una neoterrorista…. Basta. Chi ha idee di destra, che rispetto, non può accettare questo, la destra non può ridursi ad essere questo. Basta”, ha twitatto anche Alessandro Gassmann.
Sempre i carabinieri del Ros hanno compiuto, questa mattina a Fano, una perquisizioni nella sede di Africa Milele. Gli investigatori dell’Arma, secondo quanto riferisce l’Adnkronos, avrebbero acquisito documentazione relativa alle attività della onlus e materiale informatico. Gli accertamenti, disposti dalla Procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta sul sequestro di Silvia Romano, riguarderebbero le condizioni di sicurezza in cui si trovava la giovane cooperante al momento del rapimento.