Finiscono davanti alla Consulta le intercettazioni dello scandalo sugli incontri carbonari tra toghe e politica per indirizzare le nomine nelle maggiori procure d’Italia. Una questione spinosa, sollevata dal deputato di Italia Viva Cosimo Ferri perché finito in alcuni audio captati con il trojan installato sul cellulare del pm Luca Palamara, su cui da ieri c’è una data segnata in rosso sul calendario. Si tratta del prossimo 20 maggio quando i giudici, al cui vertice c’è il presidente Marta Cartabia, decideranno sull’ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato paventato dal parlamentare renziano. Sostanzialmente con il suo ricorso, Ferri lamenta una “lesione delle sue prerogative costituzionali” di parlamentare per essere stato “illegittimamente sottoposto, in via indiretta, a intercettazione di conversazione, in assenza dell’autorizzazione della Camera dei deputati”, nonché per essere stato sottoposto, sulla base di tali intercettazioni, all’azione disciplinare esercitata dal procuratore generale della Cassazione. Per farla breve il deputato chiama in causa gli articoli 67 e 68, terzo comma, della Costituzione secondo cui l’autorità giudiziaria deve richiedere l’autorizzazione della Camera alla quale il soggetto appartiene per eseguire intercettazioni.
L’INCHIESTA CHOC. Oltre al procedimento davanti alla Consulta, il caso Palamara si appresta ad approdare anche in tribunale. È di pochi giorni fa la chiusura dell’indagine per corruzione della Procura di Perugia che, di norma, prelude ad una richiesta di rinvio a giudizio degli indagati. Così a rischiare il processo assieme al pm, sono l’ex consigliere del Csm Luigi Spina, l’imprenditore Fabrizio Centofanti, l’amica di Palamara Adele Attisani, e il titolare di un’agenzia di viaggi. Quel che è certo è che dal carteggio dell’inchiesta è emerso che il magistrato ha parlato con tutti. Imprenditori, politici e colleghi, sono stati la rete di rapporti con cui l’ex consigliere del Csm ed ex capo della corrente Unicost delle toghe, secondo chi indaga, ha tramato per condizionare la scelta dei vertici dei maggiori uffici giudiziari del Paese. In altre parole era Palamara a decidere chi appoggiare, indirizzando i voti dei suoi fedelissimi a palazzo dei Marescialli.
LA RIUNIONE CARBONARA. L’episodio più grave finito nel fascicolo dell’inchiesta è senza dubbio quello del 9 maggio 2018 quando Palamara organizza la riunione carbonara che ha spaccato il mondo della magistratura italiana. Quella sera, inconsapevole della presenza di un trojan installato sul suo smartphone dai militari del Gico, incontra 5 ex consiglieri del Csm, l’ex ministro dello sport Luca Lotti e il parlamentare Ferri. In ballo c’è la nomina del procuratore capo di Roma, in vista del pensionamento di Giuseppe Pignatone, che crea non poche apprensioni. A contendersi il ruolo, poi finito a Michele Prestipino, sono il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, gradito a Palamara & co, il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e quello di Firenze Giuseppe Creazzo. Dopo una rapida conta dei voti, “ci sono in commissione quattro intenzioni di voto a favore di Viola, una a favore di Lo Voi e una a favore di Creazzo”, interviene Lotti che interrompe tutti e detta la linea: “Si vira su Viola”. Peccato per loro, il piano va a monte perché che con il deflagrare dell’indagine, dopo le dimissioni dei 5 consiglieri finiti negli audio, la procedura di nomina viene resettata e alla fine il Csm ha scelto Prestipino.