L'Editoriale

Il lavoro cambia musica. Il virus avvisa i sindacati: il loro mondo è finito

Con le vittime e i danni che ha fatto può sembrare blasfemo doverne riconoscere i meriti, ma la pandemia ha anche cambiato molte cose in meglio: dalla consapevolezza di quanto si sia sacrificata la sanità pubblica sino alla diffusione del lavoro a distanza dagli uffici. Rivoluzioni rimaste da anni eterne promesse, come lo smart working, sono diventate la norma per milioni di imprese e di professionisti, costretti a superare la pigrizia e ad affacciarsi su questo mondo nuovo. Un salto che una volta riuscito poi non rende facile tornare indietro, e dunque anche alla fine del lockdown continueremo ad acquistare in modo più massiccio online, a farci portare da mangiare col delivery e a lavorare molto di più da casa.

Proprio il lavoro è il mondo che il virus ha cambiato più radicalmente, e questo la dice lunga di quanto fossimo cristallizzati in un sistema post-industriale protetto da contratti, mansioni, abitudini e resistenze nel modificare i modelli organizzativi. Una trasformazione che domani si mostrerà in maniera plastica nel più tradizionale degli appuntamenti con la festa del Primo Maggio: il concerto di Piazza San Giovanni, a Roma. Da molti anni questo evento è il simbolo di una retorica sindacale costretta a intrufolarsi tra la musica per parlare a un pubblico che il lavoro fatica a trovarlo, quando addirittura non l’ha visto mai. Pur con artisti e conduttori diversi, temi antichi e d’attualità, il concertone nel suo format di fondo è rimasto però sempre identico: stessa spiaggia (la location) e stesso mare (i refrain sui diritti, sicurezza e legalità). Nulla di sostanzialmente nuovo, insomma, a testimonianza di un mondo che non ha saputo evolversi e modernizzarsi, se non in modo parziale e sui grandi numeri solo potenziale.

Nell’anno del Covid, con le restrizioni sul distanziamento sociale, il concertone si svolgerà con logiche completamente nuove. Mancherà il senso di comunità che dà la piazza, ma gli artisti coinvolti si misureranno con collegamenti in digitale, proprio come i lavoratori di cento professioni, della scuola, delle banche, dello shopping e quant’altro stanno facendo da mesi. I cantanti si esibiranno da diverse parti d’Italia, annullando le distanze e offrendo performance inedite, immersi in un pubblico in mezzo al quale non possono cantare. La recente maratona musicale promossa da Lady Gaga, “One world, together at home”, ha dimostrato che si può trasmettere un messaggio potente (ha raccolto milioni di spettatori e 127 milioni di dollari per beneficienza) ricorrendo alla musica e alla rete, integrata con le radio e le televisioni.

Si sperimenta, insomma, e si cercano strade nuove di cui c’è bisogno, anche se le rendite di posizione rifiutano il cambiamento. Modelli classici – la fabbrica, l’ufficio, il negozio, il centro commerciale – regolati da figure tipiche – il padrone, il manager e il dipendente – hanno fatto comodo a chi si è assicurato un avvenire nelle organizzazioni di rappresentanza (il sindacato dei lavoratori, ma anche quelli datoriali non fanno molta differenza) senza costringerli a misurarsi col cambiamento. E pazienza se la base fuggiva e oggi, per dire, i confederali Cgil, Cisl e Uil hanno tra i loro iscritti più pensionati che lavorativi attivi. Ci voleva allora il virus per costringere anche i sindacati a guardare il nuovo mondo del lavoro togliendosi di dosso gli occhiali del passato. E prendere atto che serve tutto un altro approccio. Come il concerto di domani, nella sua originalità, mostra chiaramente.