Per settimane ci siamo sentiti raccontare la bufala che in Italia si fanno pochi tamponi al punto che molti devono averci anche creduto. Del resto secondo la Lega proprio questo sarebbe stato uno dei motivi che ha permesso al covid-19 di prosperare indisturbato, per giunta soprattutto nelle regioni da loro amministrate. Peccato che questo motivetto, una sorta di slogan da campagna elettorale al tempo del coronavirus, sia una bufala andata avanti fin troppo a lungo. Lo sa bene il Commissario all’emergenza Domenico Arcuri che ha provato a mordersi la lingua ma alla fine ha sbottato: “Tra le mie mansioni non c’è quella di rispondere alle polemiche ma avrei tanta voglia di parlare dei liberisti che dai loro divani emettono sentenze quotidiane”, “dopo aver sorseggiato i loro centrifugati”.
Parole di fuoco che risaltano perché pronunciate da un uomo pacato che, ogni giorno, deve sorbirsi attacchi sulle mascherine, sul loro prezzo, sul tema delle patenti di immunità e sul numero di tamponi effettuati. Ebbene la verità è che le dichiarazioni delle opposizioni sono assai lontane dalla realtà. Proprio in relazione ai test, a dispetto di quanto vanno raccontando da un mese, i fatti sono agli antipodi. L’Italia è “il primo paese al mondo per tamponi fatti in relazione al numero di abitanti”, spiega Arcuri durante la conferenza stampa di ieri, pur ammettendo che “sono ancora pochi e ne dovranno esser fatti di più, ma facciamo pace con noi stessi e mettiamo i cittadini nelle condizioni di avere tutte le informazioni e le risposte che meritano”.
Guardando ai numeri assoluti, ossia sul numero complessivo di tamponi effettuati, siamo la quarta nazione al mondo pur non essendo affatto il quarto Paese più popoloso del pianeta. Può sembrare una sparata quella del Commissario, magari detta in un momento di stress, ma è la pura e semplice verità che emerge dai dati secondo cui in Italia sono stati fatti 2.960 tamponi ogni centomila abitanti, in Germania 2.474, “il 20% in meno”, in Gran Bretagna 1.061, un terzo dell’Italia, e in Francia 560, un sesto del nostro Paese.
LE BOUTADE DEL CARROCCIO. Per dirla tutta, almeno nelle primissime fasi di questa pandemia, il sistema sanitario italiano è partito a rilento sui test. Ma avuta la contezza che bisognava accelerare, ha dato una svolta che ha prodotto risultati facendoci diventare primi al mondo. Tutto ciò, però, non ha scoraggiato Matteo Salvini & co. dal polemizzare. A fare da apripista, il 17 marzo, è stato il presidente del Veneto Luca Zaia quando ha dichiarato: “Un tampone non fa mai male a nessuno e anche ne trovassimo solo uno positivo, ne eviteremmo altri 10”. Una linea subito sposata dal leader della Lega Salvini che in merito ad una presunta penuria di test effettuati dall’Italia, ha dato man forte al governatore: “Sui tamponi a tappeto Zaia ha detto che se ne frega del bilancio? Fa bene, in un momento di emergenza economica l’unica cosa su cui non puoi risparmiare è la salute”.
Ma sul tema nella Lega hanno parlato davvero tutti. Il 23 marzo il consigliere regionale dell’Umbria Valerio Mancini ha detto: “Nella grave emergenza che sta affrontando l’Italia siamo tutti concordi sul fatto che sia doveroso consentire a chi opera in trincea, medici e infermieri, di lavorare in sicurezza. È necessario che il governo garantisca alle Regioni il numero di tamponi opportuno a coprire tutti”. Poi ancora Salvini, 24 ore dopo e sempre alludendo alla penuria di test, afferma per pura polemica: “Se mi si chiede perché fanno il tampone ad alcuni calciatori e ad alcuni medici no, non ne ho la più pallida idea. Mi sembra assurdo”. Peccato che come dice Arcuri, di tamponi l’Italia ne ha fatti più di tutti.