Il D-day è finalmente arrivato: oggi è il giorno dell’attesissimo Consiglio europeo che dovrebbe approvare il pacchetto di strumenti con cui evitare il collasso dell’eurozona. Ma “D” non sta per decisione, purtroppo: chi si aspetta colpi di scena da parte dell’Italia (che non farà saltare alcun tavolo), tardivi slanci di umanità (dalla Germania e dai suoi “satelliti”) o semplicemente decisioni che esulino da quanto già previsto dall’ultima riunione dell’Eurogruppo, rimarrà deluso.
INCOGNITE. Ci sono infatti due certezze e un’incognita: la prima certezza è che la base da cui partire sono gli strumenti individuati, appunto, dai ministri delle Finanze lo scorso 10 aprile: i 540 miliardi del pacchetto economico composto dal Mes (fino a 240 miliardi totali), dai fondi della Banca d’investimenti europea (200 miliardi) e dal pianto anti-disoccupazione “Sure”(100 miliardi). Il presidente dell’Eurogruppo, Mario Centeno, martedì ha dato nuovamente rassicurazioni sul Fondo Salva Stati (“Non ci sarà alcuna Troika”) e rispolverato pure il cosiddetto “Bicc”, il bilancio dell’eurozona pensato per la convergenza e la competitività.
Perché la cifra messa in campo non basta. La seconda certezza è la profonda spaccatura tra gli Stati Ue in merito a come distribuire qualsiasi forma di aiuto tra i diversi Paesi, se sotto forma di sussidi o prestiti: fra la posizione rigorista del blocco dei “nordici”, contrari a qualsiasi forma di mutualizzazione del debito e quella dei nove Paesi che invece vorrebbero una linea più soft, vista l’emergenza e la drammatica caduta verticale del Pil che – è bene ribadirlo – sarà globale. Per fronteggiare tutto ciò servono sicuramente “strumenti innovativi”, come da più parti – dai commissari europei Gentiloni e Breton fino a schiere di economisti – si ripete da settimane.
Con buona pace della Germania e dell’Olanda. Visto che le stime di deficit riguardano anche loro. E in ogni caso, con il Recovery fund, la Francia (trovando sponda nell’Italia) ha proposto un compromesso che non chiede la condivisione dei debiti passati, ma una condivisione del rischio comune solo futuro. E con l’argomento Recovery fund, cioè un Fondo garantito dal bilancio dell’Unione Europea da utilizzare per l’emissione dei cosiddetti recovery bond, arriviamo all’incognita prima menzionata. Che riguarda molti aspetti ad esso legati. Innanzitutto l’entità, che al momento oscilla tra i 1.000 e i 1.500 miliardi, e poi la struttura stessa dei bond.
PAROLA A URSULA. Italia, Francia e Spagna premono per consentire anche sovvenzioni a fondo perduto, i nordici, al contrario, vorrebbero erogarli esclusivamente sotto forma di prestiti. Tutto questo, però, non verrà discusso oggi, la grana finirà nelle mani della Commissione europea che su mandato dei leader il 29 aprile dovrà presentare una proposta articolata per collegare il fondo per la ripresa al prossimo bilancio Ue (2021-2027). Come auspicato anche dalla presidente Ursula Von der Leyen. Più semplice a dirsi che a farsi, viste le divergenze.
E ad essere ottimisti le trattative non si concluderanno prima della fine di giugno; lo stesso presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha ammesso che l’Ue deve essere più veloce a decidere: i soldi servono subito. Cosa ben nota anche a Giuseppe Conte che, dopo la linea oltranzista sul Mes ha dovuto ammettere fra le righe, mercoledì alle camere, che fermo restando l’impegno per l’attuazione del piano Recovery Fund, “l’Italia potrebbe accedere alle linee di credito del Mes per le spese sanitarie con le adeguate rassicurazioni”.
Un documento interno della Commissione europea, circolato in mattinata ed elaborato in vista del vertice Ue, propone di aggiungere al prossimo bilancio Ue pluriennnale (2021-2027) un fondo temporaneo e mirato per la ripresa (Recovery Fund) dotato di 300 miliardi di euro. Nel documento viene indicato un pacchetto di iniziative, destinato a integrare il bilancio pluriennale Ue, e a mobilitare almeno 2.000 miliardi di euro per ridare slancio alle economie colpite dalla crisi.