Sui due Marò arrestati perché accusati di aver ucciso due pescatori indiani tutti hanno detto tutto e il contrario di tutto. Mentre Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono in India in attesa che la polizia completi gli ultimi passi dell’indagine e poi il tribunale speciale della Corte suprema di Delhi pronunci la sua sentenza, ad uscirne sconfitta in questa vicenda è la credibilità della diplomazia italiana. Oggi il presidente del Consiglio Enrico Letta ha convocato un vertice a Palazzo Chigi con il vicepremier Alfano e i ministri degli Esteri, della Difesa e della Giustizia per “fare il punto della situazione con tutti i ministri competenti”. “Abbiamo adottato questo metodo – ha spiegato il ministro Mauro – perché vogliamo che, evitando personalismi e che ci siano notizie date e non date, tutti sappiano tutto in qualsiasi momento di questa vicenda”. Per il momento quello che sappiamo non è confortante.
“Un’occasione di ribalta”
Fernando Termentini, Generale della Riserva dell’Esercito, consulente nel settore della bonifica di mine e ordigni bellici non esplosi ed esperto nell’analisi di rischio connesso alla minaccia terroristica, nel suo blog lo spiega chiaramente: “La vicenda dei due Marò è stata e continua ad essere occasione di ribalta personale per molte cariche istituzionali che si stanno occupando del problema, con risultati che allo stato dei fatti non possono sicuramente essere considerati esaustivi. Primo fra tutti, l’inviato speciale italiano Staffan De Mistura che fin dall’inizio è stato incaricato, prima dal Ministero degli Affari Esteri e poi dall’Esecutivo presieduto da Monti e confermato da quello attuale, a rappresentare l’Italia sviluppando ogni possibile mediazione con l’India per ottenere il rilascio dei due marò”. Passando in rassegna le dichiarazioni di De Mistura si ha l’impressione che l’Italia stia “svendendo” i due sottufficiali del battaglione San Marco per incapacità negoziale, mettendo in discussione i fondamentali interessi e la dignità del Paese.
La cronistoria
“In una prima dichiarazione del 18 maggio 2012 – spiega il Generale Fernando Termentini – De Mistura dichiarava alla televisione indiana: “La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri due Marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo”. Dichiarazioni ed atti interpretati dagli indiani ed anche da molti commentatori internazionali come un’ammissione di responsabilità da parte italiana, assolutamente inopportuna in quel momento”. Quell’esperienza negativa non ha però fermato l’incongruenza delle dichiarazioni che si sono succedute. A RaiNews De Mistura ha detto che “nessun militare, di nessun paese può essere giudicato fuori dal proprio stato di provenienza”.
“Un’affermazione assolutamente condivisibile, ma che come tante altre è rimasta una dichiarazione di intenti mai concretizzata”, spiega il Generale Termentini. Poi spicca quella dell’11 marzo 2013, quando fu deciso di non far rientrare i due Marò in India al termine del permesso elettorale “in coordinamento stretto con il presidente del Consiglio Mario Monti e d’accordo tutti i ministri”. Una notizia i cui contenuti da lì a breve sarebbero stati smentiti da Monti quando il 26 marzo in Parlamento dichiarò che “trattenere i Marò in Italia era oggetto di decisioni in itinere che non avrebbero dovuto essere oggetto di precipitose dichiarazioni alla stampa”. Eppure De Mistura il giorno dopo è stato promosso da Monti al rango di vice ministro.
L’ultima risale a quando dichiarò: “Abbiamo garanzie scritte del ministero degli Esteri a nome del governo indiano sulla non applicabilità della pena di morte”. Affermazioni in parte sconfessate dal ministro della Giustizia Ashwani Kumar: “Come può il potere esecutivo dare garanzie sulla sentenza di un tribunale?”. Il governo italiano sembra sia rassegnato al fatto che i due Marò possano essere giudicati colpevoli, con la possibilità di scontare poi la pena nel nostro Paese. Forse la speranza è che gli indiani poi siano più comprensivi sugli affari di Finmeccanica a New Delhi. “Accogliamo l’invito di “urliamo di meno” raccomandato dal Ministro degli Esteri lo scorso primo giugno – conclude il Generale Termentini – ma nello stesso tempo vorremmo capire se e dove sbagliamo nel definire incongruenti certe dichiarazioni”.