Il salvagente lanciato dal Senato all’eurodeputata leghista Anna Cinzia Bonfrisco si è sgonfiato. Per Palazzo Madama l’ex senatrice non deve essere processata con le accuse di essere stata parte di un’associazione per delinquere e di corruzione, in quanto le contestazioni a lei mosse riguarderebbero “opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni” e ricadrebbero così nella “garanzia di insindacabilità”. Di diverso avviso il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Verona, Livia Magri, che ha sollevato il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e si è visto ora accogliere la richiesta dalla Corte Costituzionale, che dovrà decidere sulla vicenda. La sorte dell’esponente del Carroccio è così appesa alla Consulta.
L’europarlamentare Bonfrisco, dopo aver mosso i primi passi in politica con il Psi, aderì nel 1994 a Forza Italia e, eletta al Senato nel 2006, è rimasta ininterrottamente a Palazzo Madama per quattro legislature. Avvicinatasi nel 2015 alla corrente fittiana, abbandonò FI, si legò al Pli e infine approdò nella Lega, con cui lo scorso anno è sbarcata a Bruxelles. Addio insomma al carro ormai a pezzi del Cavaliere e avanti con il trionfante Carroccio. Tra una vittoria e l’altra, però, per l’esponente del partito di Matteo Salvini è spuntata anche una grossa grana giudiziaria. Bonfrisco è finita accusata dalla Procura di Verona di aver favorito un sodalizio criminale messo su dall’allora presidente del Consorzio Energia Veneto, che per tali vicende ha già patteggiato la pena, impegnandosi per far inserire con un emendamento il Cev tra le 35 grandi stazioni appaltanti nazionali e far così poi aggiudicare ricchi affari a due società presiedute dallo stesso presidente del Consorzio Energia Veneto.
In cambio, secondo gli inquirenti, la parlamentare avrebbe ottenuto una vacanza in Costa Smeralda per lei, la madre, un nipote e un’amica, l’assunzione in una delle aziende del presidente del Consorzio Energia Veneto di una persona da lei indicata e quattromila euro per la campagna elettorale nelle regionali in Veneto di una persona a lei vicina. Nel 2019, accogliendo la richiesta della Giunta per le immunità del Senato, Palazzo Madama, con i voti della Lega, di Forza Italia e del Pd, ha detto no al processo per la parlamentare, dopo che gli inquirenti avevano chiesto il rinvio a giudizio della leghista. Il gup del Tribunale di Verona ha ritenuto però che il Senato sia andato oltre le sue prerogative e si è rivolto alla Consulta.
Per il gup i senatori si sarebbero attribuiti “un potere inesistente di valutare il fondamento” dell’accusa, un potere che non rientra “nell’ambito delle attribuzioni della Camera di appartenenza del parlamentare” e che spetta “esclusivamente all’attività giudiziaria”. Il giudice insomma ha dato battaglia contro la tesi che un emendamento portato avanti sulla scorta di un rapporto corruttivo, come sostengono gli inquirenti, si possa liquidare come insindacabile opionione di un parlamentare. E la Consulta, con un’ordinanza redatta dal giudice costituzionale ed ex premier Giuliano Amato, ha dichiarato il ricorso ammissibile. Deciderà ora la Corte Costituzionale.