Il premier Giuseppe Conte è stato chiaro: fissare una data per la fase 2, ovvero il piano organico di riavvio graduale delle attività in una dimensione di convivenza col virus, oggi non ha molto senso. E nonostante le fughe in avanti del capo della Protezione civile Angello Borrelli (“Prima del 16 maggio no alla fase 2”), del viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri (“Si avrà una vita normale quando avremo il vaccino”), e del commissario Domenico Arcuri (“Nessun liberi tutti in vista”) il mondo appare diviso tra chi continua a invocare cautela, come gli scienziati (ma anche tra loro le posizioni non sono univoche) e chi chiede, come gli industriali, di riavviare al più presto il motore del Paese a dispetto dei sindacati che temono la corsa alla riapertura.
Di fatto, però, il governo il dossier sulla ripartenza lo ha già aperto. E ieri c’è stato un lungo confronto in videoconferenza tra il premier, molti ministri – tra cui Francesco Boccia, Dario Franceschini, Lucia Azzolina, Roberto Speranza, Stefano Patuanelli, Elena Bonetti, Teresa Bellanova, Luigi Di Maio – e il Comitato tecnico e scientifico. L’indicazione degli esperti sarebbe stata quella di seguire, con rigore, “una linea di grande prudenza”. “La curva ha un andamento positivo – è quanto emerso nel vertice – ma basta poco perché risalga. Non bisogna abbassare la guardia”. “Una riunione interlocutoria, che resta confinata a una consultazione”, ha affermato Borrelli.
“La decisione spetterà all’autorità politica, al premier e al Consiglio dei ministri nella sua collegialità”. E una prima scelta verrà fatta il prossimo fine settimana. L’ultimo decreto che ha prorogato le misure restrittive scade il 13 aprile. Si tratterà, con ogni probabilità, di una ripartenza graduale, a tappe. Per tipologia di attività, fasce d’età (lasciando a casa le persone più mature e più fragili), e per aree geografiche a seconda dei numeri sulla diffusione del virus. Si privilegeranno quelle filiere produttive dove si può garantire il distanziamento tra i lavoratori con obbligo di mascherina e dispositivi di protezione. Secondo quei protocolli di sicurezza già siglati con le parti sociali. In primo piano alcuni settori manifatturieri come la meccanica, l’edilizia ma anche il commercio laddove ci sono meno rischi.
Si prevedono screening sui lavoratori e anche il lancio di un’app per individuare i contatti avuti dai contagiati una volta che questi siano stati individuati. A fronte delle aziende che studiano la ripartenza una volta tolto il bocco dal governo, come Fca, ci sono imprese che, con l’autorizzazione dei prefetti e nell’ambito delle produzioni essenziali, hanno riaperto i battenti. Dalle acciaierie Ast di Terni ad ArcelorMittal a Genova e allo stabilimento Michelin di Cuneo. Sebbene a ranghi, per numero di operai, ridotti. Le aziende italiane più avanzate si sono organizzate per lavorare nonostante l’emergenza. I dipendenti di Saipem, per esempio, proseguono il lavoro in smart working laddove la tipologia di attività lo consente e garantiscono il coordinamento dell’attività nei 70 paesi del mondo in cui l’azienda opera.
In Italia se le attività del cantiere dell’alta velocità Brescia Verona sono state sospese, quelle ad Arbatax in Sardegna sono operative. Non si prevede un “allentamento” delle misure restrittive per la circolazione delle persone prima del 4 maggio, quando scatterebbe la seconda tappa della fase 2 dopo quella relativa alla ripartenza delle attività produttive post Pasquetta.