A Torino l’acqua tornerà pubblica. La sindaca Chiara Appendino ha deciso di tornare a far brillare quella che era la prima stella del Movimento. Via i privati dalla gestione di un bene così prezioso. Proprio come deciso con il referendum del 2011 a cui non è stato però dato seguito. La giunta pentastellata del capoluogo piemontese chiederà quindi all’assemblea dei soci della Smat di trasformare l’azienda in una società consortile di diritto pubblico. Da tempo a Torino stanno pensando a far tornare pubblica la gestione dell’acqua. La giunta Appendino ha quindi atteso l’analisi costi-benefici commissionata dal presidente di Smat, Paolo Romano. E, rassicurata anche da giuristi ed economisti sull’assenza di problemi tecnici particolari per la trasformazione dell’azienda, ha deciso di procedere.
Come confermato dall’assessore comunale all’ambiente Alberto Unia, che ha anche precisato che i ritardi sono stati legati all’esplosione dell’emergenza coronavirus. Un annuncio fatto durante la presentazione di una mozione della pentastellata Daniela Albano, che impegna la giunta a insistere nel far tornare pubblica la Smat, contestata dai consiglieri comunali dem. A decidere dovranno ovviamente essere anche gli altri Comuni in cui il servizio idrico è gestito dalla stessa società e che, al pari di Torino, sinora hanno incassato dividendi di tutto rispetto. Considerando anche che di recente la Cidiu, la società dei rifiuti di Venaria e di altri Comuni della zona, ha sostenuto di voler chiedere il rimborso delle sue quote, il 10%, in caso di trasformazione dell’azienda.
Un anno fa a tornare sul tema dell’acqua pubblica, sul Blog delle Stelle, erano state le deputate pentastellate Federica Daga e Ilaria Fontana, assicurando il loro impegno per far rispettare quanto deciso dagli italiani con il referendum di nove anni fa. “Gli attivisti del Movimento 5 Stelle – avevano sottolineato – sanno bene di cosa parliamo quando diciamo che l’acqua pubblica è la nostra prima stella. In realtà prima ancora è stata scintilla, lo sprazzo di luce nel buio che ci ha fatto intravedere la via da percorrere, in quelle lunghe riunioni davanti a una pizza o a un caffè che sarebbero poi diventate i primi meet-up. Cittadine e cittadini qualunque si ritrovavano attorno a un’idea: quella di non farsi scippare la risorsa più importante, un bene comune di cui tutti hanno diritto a fruire”.
Le due deputate hanno ricordato quindi i banchetti per la raccolta delle firme, “prima occasione per parlare con altri cittadini dell’urgenza di non aspettare che fosse qualcun altro a difendere i nostri diritti”, e la campagna referendaria culminata nei 27 milioni di sì all’acqua pubblica il 12 e 13 giugno 2011: “La scintilla diventava stella, un manipolo di cittadini attivi cambiava il corso delle cose”. Daga e Fontana hanno poi dichiarato che “governanti” e “potenti” hanno provato a sabotare il risultato referendario, con “decreti legge che facevano marcia indietro, obblighi di accorpamento che spianavano la strada alle multinazionali, la garanzia di un guadagno assicurato ai gestori privati che il voto aveva cacciato dalla porta e che le lobby hanno reintrodotto dalla finestra”. Le due deputate hanno infine ribadito di aver portato in Parlamento, nel 2013, una proposta di legge di iniziativa popolare che è alla base di un testo presentato nell’attuale legislatura.