Come diceva Marshall Mcluhan “il pubblico è un numero bombardato da numeri” e mai come in questi giorni proprio il rapporto tra numeri e opinione pubblica appare sempre più complesso e articolato: i numeri si sa annoiano ma al tempo stesso tranquillizzano… oppure agitano. I dati che la Protezione Civile fornisce giornalmente, nel rituale bollettino delle 18, permettono di valutare la reale portata dell’epidemia di Coronavirus in atto? E, soprattutto, sono un parametro attendibile per stabilire se il virus stia effettivamente regredendo – come sembravano indicare i dati diffusi tra domenica e mercoledì scorsi – oppure no? Per rispondere a questi interrogativi è utile una premessa di scenario sul livello di partenza del nostro sistema sanitario quando è scattata l’emergenza.
In Italia ci sono 4 medici ogni 1.000 abitanti (Ocse 2018), più della media Ue che è di 3,6 ogni 1000 abitanti (Ocse 2017). Ma c’è una forte carenza di infermieri: 5,8 ogni 1.000 abitanti, un dato nettamente al di sotto rispetto a molti altri Paesi Ue. Basti pensare ai 18 infermieri ogni 1.000 abitanti della Norvegia, 17 della Svizzera, 13 della Germania, 11 del Belgio, 10 di Francia e Danimarca e così via. L’Italia non è messa bene neppure sul fronte ospedali: appena 3 posti letto per 1.000 abitanti ben sotto la media Ocse (5). Lo studio del Global Helth Security Index, con dati aggiornati al 10 marzo scorso, ci mostra come l’Italia (16esima al mondo con un indice di 78,5) si sia presentata come uno dei paesi più impreparati di fronte all’esplosione dell’emergenza Coronavirus. E, tra i fattori considerati per l’elaborazione dell’indice, a pesare più negativamente è stata proprio la valutazione del nostro sistema sanitario.
Sfatato, quindi, il falso mito del Paese pronto ad affrontare un’epidemia di questa portata, a garantire finora la tenuta del sistema è stata semmai la pronta risposta del Governo che ha attuato tempestivamente politiche e misure di contenimento. Fatte queste premesse, arriviamo alle domande di partenza sui numeri della Protezione civile. Il primo dato da analizzare è quello della presunta curva in calo dei contagi – tra domenica e mercoledì scorsi – il cui numero, però, è tornato a salire ieri. Un dato del tutto fuorviante. Esiste infatti una correlazione tra il numero dei tamponi effettuati e quello dei contagiati riscontrati giorno per giorno: più tamponi si fanno più sono i contagiati registrati, meno se ne fanno e meno positivi vengono rilevati. Non a caso, proprio ieri, annunciando il dato di 4.492 nuovi contagi (mille più di mercoledì), la Protezione Civile ha precisato che l’incremento potrebbe dipendere da “un accumulo di risultati di tamponi fatti nei giorni precedenti”.
Quanti sono quindi i contagiati tra i 60 milioni di italiani? Non essendo stata fatta una ricerca dei contagiati con tamponi a campione, non abbiamo una risposta a questa domanda. In altre parole, dal momento che non viene effettuato ogni giorno lo stesso numero di tamponi a Roma, Milano e Napoli, ma il numero dei tamponi varia in base alle richieste giornaliere che arrivano dalle persone sintomatiche, ciò vuol dire che se oggi le richieste di tampone sono superiori a quelle pervenute ieri aumenta parallelamente il numero dei contagiati registrati e viceversa (vedi tabella in fondo all’articolo). In mancanza di una rilevazione a campione non possiamo avere un’idea statisticamente significativa del numero dei contagiati sul territorio nazionale.
Lo stesso capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, ha detto che i contagiati potrebbero essere dieci volte tanti il numero finora registrato. Una previsione avvalorata anche dallo studio pubblicato da Science il 16 marzo scorso, secondo cui il tasso di trasmissione del Coronavirus sui soggetti non testati può variare dal 55% all’80%. In altre parole, per ogni caso accertato di contagio, potrebbero esserci tra i 5 e i 10 non individuati che sarebbero responsabili di circa l’80% dei nuovi casi di infezione. Ma alla luce delle considerazioni fatte, si aggiungono altre riflessioni. La prima: se il numero dei contagiati ufficiali fosse tra 5 e 10 volte inferiore al numero reale, ciò spiegherebbe non solo alcune rigide misure varate dal Governo ma ne giustificherebbe addirittura altre ancor più restrittive. La seconda riguarda, invece, il tasso di mortalità del Covid-19.
L’economista Gianluca Spina lo ha confrontato con quello delle polmoniti del 2017 (14.179 decessi in tutto, dato Istat), scoprendo che, al 19 marzo di quest’anno (dati Sole 24 Ore), solo in due Regioni – Lombardia ed Emilia – si rileva un incremento delle morti. Anche il professor Enrico Bucci, della Temple University di Philadelphia, ci invita a ragionare sul fatto che la stima dei decessi potrebbe non essere così attendibile: per ogni morte avvenuta in ospedale e, quindi registrata, potrebbero essercene almeno due, non rilevate, verificatesi in casa. Insomma, i numeri della Protezione Civile sono assolutamente discutibili e vanno presi con le pinze.
L’Autore è docente di Strategie delle ricerche di opinione e di mercato a Roma Tre e Direttore del Comitato scientifico dell’Associazione Nazionale Giovani Innovatori.