di Andrea Koveos
Nella Capitale d’Italia si smaltiscono rifiuti illegali e lo Stato fa finta di niente perché non sa come disfarsi di questa immondizia. A Malagrotta, la più grande discarica d’Europa, si continua infatti a scaricare spazzatura non trattata e nessuno dice niente. Dal Ministero dell’Ambiente, dal Comune di Roma e dalla Regione Lazio giunge un silenzio assordante. Ma mentre le autorità locali non sanno che pesci prendere, l’Europa alza la voce per ammonire il nostro Paese. In un documento riservato, firmato da un rappresentante della Commissione europea (di cui La Notizia è entrata in possesso) Bruxelles ha prove sufficienti per inchiodare l’Italia per il mancato rispetto dell’obbligo di pretrattamento dei rifiuti. Nello stesso documento si sottolinea il silenzio degli organi ufficiali che dovrebbero fare i controlli e darne comunicazione.
Ora la parola spetta alla Corte di giustizia europea che emetterà la propria sentenza sulla scorta delle notizie che l’apposita Commissione ha fornito. Una decisione che non promette nulla di buono. Un giudizio, che se sarà negativo, rappresenterà un’onta enorme. Va ricordato che dall’11 aprile, nella discarica di Malagrotta non possono più essere versati materiali non trattati. Da un giorno all’altro, dunque, dopo decenni di mancata programmazione e senza un’adeguata compagna di sensibilizzazione della raccolta differenziata, l’Ama, l’azienda municipalizzata di Roma Capitale che gestisce la spazzatura si è trovata di fatto nell’impossibilità di prestare fede agli impegni presi, sicché si è dovuto chiedere aiuto ad altre regione per non fare la fine di Napoli. Per prima cosa gli “ispettori” europei hanno già verificato che i quattro impianti di Tmb (trattamento meccanico-biologico) presenti nel Lazio non sono sufficienti a smaltire le 5 mila tonnellate di immondizia prodotta quotidianamente dalla Capitale d’Italia. Un’emergenza che nessuno fino ad oggi è riuscito a risolvere. Cambiano i sindaci, i presidenti di Regione e i ministri ma il problema è sempre quello. Cosa fare della monnezza. Manlio Cerroni, l’imprenditore che da 40 anni si occupa delle nostra immondizia, fa saper che l’”impianto di trito-vagliatura realizzato a Rocca Cencia insieme con gli altri impianti di Tmb è in grado di far fronte alle montagne di scarti urbani.
Non solo. Con grande enfasi si vanta di aver fatto economizzare ai cittadini romani oltre due miliardi e mezzo di euro. Risultati che però – a detta del numero uno di Colari (Consorzio laziale rifiuti) non sono stati sufficienti in quanto “quasi tutti maliziosamente operano maliziosamente in tutte le sedi e direzioni per demolire intenzionalmente: un vero e proprio tsunami”. Intanto si va avanti a proroghe.
L’ultima un paio di giorni fa. Malagrotta continuerà a lavorare il suo prezioso carico di rifiuti fino al 30 settembre 2013. L’ultima scadenza era stata fissata per il 30 giugno, ma come accade ormai da venti anni a questa parte, non c’è niente di più definitivo di una proroga temporanea. Va ricordato che la discarica di Malagrotta avrebbe dovuto chiudere già il 31 dicembre 2007 per decisione dell’Europa. Via via però il Governo ha emesso una serie di proroghe fino a quando nel 2011 la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Ad ogni proroga che si rispetti, si accompagna una promessa. E più si sommano i rinvii tanto più è ambiziosa la promessa. Regione e Roma capitale fanno sapere che entro il 31 luglio troveranno una discarica alternativa a Malagrotta Chi dovrà sciogliere la riserva sarà il commissario straordinario all’emergenza rifiuti, Goffredo Sottile, che il ministro Orlando ha confermato ancora per tre mesi.
Ecco che ancora una volta si riapre la complicata partita di dove mandare la monnezza romana. Il sindaco Ignazio Marino ha già detto no a un nuovo impianto a Monti dell’Ortaccio (situato a poche centinaia di metri in linea d’aria da Malagrotta) proprio il luogo che, invece, il commissario aveva individuato come idoneo.
Tutto lascia immaginare che alla fine deciderà l’Europa per manifesta inferiorità della nostra classe dirigente.