Sarà una festa della donna particolarmente sottotono quella che si svolgerà in Italia. Nessuna manifestazione particolare. L’emergenza coronavirus impedisce contatti ravvicinati. Proprio in un momento così difficile per il Paese, sull’uguaglianza di genere, o meglio sulle mille difficoltà legate alle ancora numerose discriminazioni nella penisola tra uomini e donne, arriva però una buona notizia. Sul territorio nazionale pian piano il grande divario tra i due sessi si sta colmando e soprattutto è aumentata la presenza di donne nelle istituzioni, in quei centri di potere che per lungo tempo sono stati appannaggio quasi esclusivo degli uomini.
IL DATO GLOBALE. Nell’ultimo rapporto pubblicato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, un’agenzia autonoma dell’Unione europea, viene specificato che l’indice sull’uguaglianza di genere, tra il 2005 e il 2019, è migliorato di 5,4 punti, che la media europea è di 67,4 punti e che l’Unione è più vicina alla parità di genere nei settori della salute (88,1 punti) e del denaro (80,4 punti). Le diseguaglianze più preoccupanti, con un indice che va da 1 a 100, emergono invece nel settore del potere, a partire da quello politico ed economico, con un punteggio pari a 51,9. Ma proprio in tale settore inizia a brillare l’Italia.
IL ROSA AVANZA. L’Italia, nell’indice sull’uguaglianza di genere, ha ottenuto un punteggio di 63 su 100. inferiore alla media europea di 4,4 punti, ma insieme a Cipro è il Paese che ha fatto registrare i maggiori progressi, salendo nella graduatoria di 12 posizioni a partire dal 2005. Con punteggi inferiori a quelli europei in tutti i settori, ad eccezione che nella salute, e con le diseguaglianze maggiori nel lavoro dove ha il punteggio più basso d’Europa e in quello del potere (47,6 punti), proprio su quest’ultimo fronte Roma ha però intrapreso un percorso virtuoso. Partendo sempre dal 2005, l’Italia è cresciuta di 31,5 punti relativamente all’ingresso delle donne nelle istituzioni. Guardando inoltre all’analisi annuale del World Economic Forum sul Global Gender Gap, dove l’Italia è al 76° posto su 153 Paesi, nel settore della politica è al 44° posto, mentre nel 2006 era al 76°. Come sottolineato da un dossier messo a punto dal servizio studi della Camera, la presenza femminile negli organi costituzionali italiani è stata sempre contenuta. La situazione è però cambiata nel 2013.
In Parlamento la presenza delle donne era sempre stata inferiore al 30%. La stessa è però passata dal 19,5% della XVI legislatura al 30,1% della XVII. E nel 2018 è arrivata al 35%, con l’elezione di 334 parlamentari, 225 alla Camera e 109 al Senato. Un risultato che fa brillare l’Italia in Europa, considerando che la media Ue è del 32,2%. Nessuna donna è ancora riuscita a rivestire la carica di Capo dello Stato o di Presidente del Consiglio, ma alla presidenza della Camera abbiamo avuto già tre donne – Nilde Iotti, Irene Pivetti e Laura Boldrini, e nella legislatura in corso per la prima volta anche alla presidenza del Senato, con Maria Elisabetta Alberti Casellati. Nei 64 governi che si sono succeduti fino al 2018, ben 13 sono stati composti da soli uomini e solo dal 1983, con il Fanfani V, la presenza di donne è diventata una costante. Su oltre 1.500 incarichi di ministro assegnati nei 64 governi, solo 78 volte i Ministeri si sono tinti di rosa, generalmente nei settori sociali, della sanità e dell’istruzione. E in 38 casi si è trattato di incarichi di ministro senza portafoglio. Nel Conte 2 le ministre sono 8, il 35%, e le sottosegretarie 14 su 42, il 33%, mentre la media Ue è del 30,4%, anche se nella Commissione europea sono il 44,4%. Un altro risultato significativo. Per quanto riguarda poi la Corte Costituzionale, su 15 giudici 3 sono donne e con l’elezione di Marta Cartabia (nella foto) per la prima volta a una donna è andata anche la presidenza.
I TERRITORI. Nelle assemblee regionali la presenza di donne è invece inferiore alla media europea, essendo del 17,7% a fronte di una media del 33,5%. E solo in due Regioni, la Calabria e l’Umbria, con Jole Santelli e Donatella Tesei, la presidenza è andata a una donna. Il maggior numero di seggi rosa nei consigli regionali si registra in Lombardia, con 20 seggi, seguita dall’Emila Romagna, dal Lazio e dalla Sicilia con 16 e dalla Toscana con 12. Le Regioni con meno donne nelle assemblee sono invece la Basilicata, con appena 2 consigliere, la Calabria e la Liguria con 3, e l’Abruzzo, il Molise e la Puglia con 5. Va però decisamente meglio nelle giunte regionali, con il 26% degli assessorati in rosa. Su 198 assessori 51 sono donne. Ad andare meglio in questo caso è la Toscana, con il 44,4% di assessorati rosa, seguita dalle Marche con il 42,9% e dall’Emilia Romagna e dal Lazio con il 36,4%. Malissimo invece il Molise, unica Regione con 0 donne in giunta, seguito dalla Sicilia ferma al 7,7% e dalla Puglia al 10%. Migliora l’Italia anche per quanto riguarda le presenze femminili nei consigli comunali. la media dei Paesi dell’Unione europea è del 32,6% e sul territorio nazionale è del 33,6% nei Comuni con meno di 15mila abitanti e del 31,4% in quelli con più di 15mila abitanti. Nelle giunte degli enti locali gli assessorati dati alle donne è inoltre del 43% nei centri con meno di 15mila abitanti e del 44% in quelli più grandi, mentre le sindache sono 1.107, il 14,4%. Nelle città metropolitane delle regioni a statuto ordinario, invece, su 194 consiglieri eletti 46 sono donne, il 23,7%, e tra gli 80 presidenti di Provincia le donne sono 6, il 7,5%. E nelle autorità amministrative indipendenti, su 39 componenti in carica le donne sono 12, il 31%.
Cresciuto anche il numero delle eurodeputate
Sono in aumento pure le italiane elette all’Europarlamento. Nelle prime cinque legislature non sono arrivate neppure al 15%, ma con l’introduzione delle quote di lista nel sistema elettorale nel 2004 il loro numero è aumentato, si è passati così da dieci elette nella V legislatura (1999-2004) alle 15 della VI (2004-2009), dall’11,5% al 19,2%, per poi salire nella VII legislatura (2009-2014) al 22,2%, con 16 donne tra i 72 europarlamentari italiani. Nel 2014, applicata la cosiddetta tripla preferenza di genere, il numero di italiane approdate a Bruxelles è quindi quasi raddoppiato: 29 europarlamentari su 73, il 39,7%. E nel 2019 il numero di donne è arrivato a 30, il 41,1% degli eletti, portando in tal modo l’Italia a superare la media europea che è del 40,6%. La pattuglia rosa più consistente al Parlamento europeo è quella della Lega, che conta su 15 europarlamentari, tra cui Anna Bonfrisco, Susanna Ceccardi, Mara Bizzotto, Francesca Donato, Elena Lizzi e Gianna Gancia, seguita da quella del Movimento 5 Stelle, con le 8 eurodeputate Isabella Adinolfi, Tiziana Beghin, Rosa D’Amato, Eleonora Evi, Laura Ferrara, Chiara Gemma, Sabrina Pignedoli e Daniela Rondinelli, e da quella del Pd, con Simona Bonafè, Caterina Chinnici, Elisabetta Guelmini, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli e Patrizia Toia. Un balzo in avanti significativo che, se unito ai progressi registrati anche nelle istituzioni italiane, mostra come pure a Roma il divario tra uomini e donne stia diminuendo.
Più rappresentate nei CdA ma lontane dai ruoli chiave
La presenza delle donne nei Consigli di amministrazione delle aziende quotate, grazie anche a leggi come la Golfo-Mosca, è migliorata. Ha superato il 36%. Mentre nelle non quotate è sotto il 18%. Ma le leve di comando continuano ad essere lasciate ben strette in mani maschili. Tra gli amministratori delegati soltanto 14 infatti sono donne. Un particolare evidenziato nel primo Rapporto Cerved-Fondazione Marisa Bellisario, presentato pochi giorni fa al Senato. Più nel dettaglio, la presenza di donne nei CdA è passata da 170 nel 2008, il 5,9%, alle 811 di oggi, mentre nei collegi sindacali si è passati dal 13,4% del 2012 al 41,6% del 2019, con 475 sindaci donne. E nel 2019 la crescita è rallentata. Aumentando di due sole unità. Progressi dunque, ma non sufficienti.
Il gender gap ci fa perdere anche il 15% del Pil
Quando le donne hanno poco spazio nei centri di potere ne risente anche l’economia. Uno studio del Fondo monetario internazionale del febbraio 2015, relativo proprio al rapporto tra partecipazione delle donne al mondo del lavoro e crescita economica, ha infatti stimato per l’Italia una perdita derivante dall’esistenza del gender gap pari al 15% del Pil. A battere sulla correlazione tra il gender gap di un Paese e la sua competitività nazionale è lo stesso World economic forum, sottolineando che le donne rappresentano la metà del talento potenziale di un Paese. La competitività nel lungo periodo di uno Stato dipende quindi considerevolmente dal modo in cui quello Stato dà spazio alle proprie donne e dunque al 50% dei propri potenziali talenti.