Se si chiudono le scuole va da sé che non si aprano i seggi, e dunque il rinvio del referendum sul taglio dei parlamentari ci sta. Questo non significa che la faccenda finisce qui, e la casta che si è aggrappata pure al Coronavirus per non perdere l’ultima speranza di salvare 345 poltrone si rassegni. Appena possibile la partita sarà chiusa, e le chiare intenzioni di voto degli italiani lasciano zero spazi alle sorprese. Perciò la cosa più intelligente da fare – se fossimo un Paese più concreto e meno bizantino nell’apparato normativo – sarebbe non buttar via i trecento milioni necessari per le urne, e vedere finalmente un gesto nobile da parte della settantina di senatori che hanno preteso di portarci inutilmente a votare. Siamo di fronte a uno scenario terribile per il numero di morti e malati, l’economia è in ginocchio, e restare indifferenti squalifica chi sottrae risorse alle necessità più urgenti. E allora diciamolo: visto che l’esito del referendum è scontato, siamo di fronte a uno spreco di denaro pubblico che se era malamente tollerato in nome di un formalismo giuridico, adesso che abbiamo bisogno di tutto quello che c’è per assumere medici e rafforzare gli ospedali, per aiutare chi perderà il lavoro, per sostenere le famiglie e le imprese, è sacrosanto scongiurare. L’Italia ama dividersi ma nei momenti più difficili sa essere generosa ed esemplare. Il comitato promotore del referendum faccia un gesto e semmai accadrà la Corte costituzionale non si metta di traverso. Sarebbe l’esito più bello in un dramma che avremo bisogno di anni per poterlo interamente superare.
L'Editoriale