Correva l’anno 2004. Mark Zuckerberg creava Facebook, Madrid contava 191 morti per terrorismo, milioni di polli venivano ammazzati in Cina per l’aviaria, a Sumatra si abbatteva lo tsunami, l’Italia passava dal governo Berlusconi II al Berlusconi III e il Palermo tornava in serie A dopo 31 anni. Non solo. In Europa veniva approvato il Regolamento (CE) N.883/2004 ispirato al principio della lex loci laboris. Che diceva, in sostanza: a partire dal 1° maggio 2020 tutti i lavoratori dipendenti saranno assoggettati al sistema previdenziale del paese in cui lavorano, indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza. Traduzione? Gli italiani che lavorano all’estero non potranno più versare i contributi all’Inps, incassando poi dall’Inps la relativa pensione, ma dovranno aderire al sistema locale.
In molti casi peggiorativo, come hanno scoperto disperati molti dipendenti della Farnesina: “In alcuni paesi, come in Germania, pagheranno contributi molto più alti, anche 600 euro al mese, ritrovandosi con lo stipendio falcidiato e con pensioni fino a 700 euro più basse di quelle che paga l’Inps”, calcola Iris Lauriola, segretario nazionale Esteri della Confsal Unsa. A farne le spese saranno soprattutto i circa 100 contrattisti che lavorano tra Germania, Belgio, Olanda, Danimarca e Svizzera, dove le casse mutue sono costosissime e, ovviamente, interessatissime (soprattutto quelle tedesche, capitanate dalla Dvka) a mettere le mani sul tesoretto dei contributi italiani. Sono i paesi, guarda caso, i cui governi (Berlino in testa) si rifiutano di sottoscrivere con l’Italia un accordo diplomatico che riconosca reciprocamente ai lavoratori il diritto di rimanere ancorati al sistema nazionale: pagare i contributi all’Inps, anziché alla propria previdenza, è conveniente anche per il datore di lavoro estero.
Mentre la Farnesina, con il nuovo regime, ci rimetterebbe solo in Germania 300mila euro l’anno. Altri 300mila li perderanno i lavoratori. E ancora più alto sarà l’esborso in Danimarca e in Svizzera. Una perdita secca per tutti. Ma, paradossalmente, evitabile: come hanno segnalato ben quattro parlamentari (Laura Garavini, Iv, al Senato; Angela Schirò, Pd, Fucsia Fitzgerald Nissoli e Renata Polverini, Pdl, alla Camera) il regolamento 883 prevede la possibilità sia di accordi diplomatici sia di accordi tecnici da parte dell’Inps, il cui presidente Pasquale Tridico si è già detto disponibile. Perché allora gli accordi non sono stati ancora sottoscritti, respingendo l’assalto delle previdenze estere? La Farnesina ha avuto ben 16 anni a disposizione. E ben 11 ministri: Frattini, Fini, D’Alema, di nuovo Frattini, poi Terzi di Sant’Agata, Bonino, Mogherini, Gentiloni, Alfano, Moavero Milanesi e ora Di Maio.
“Sono anni che segnaliamo il rischio di maggiori costi per il ministero e di una drammatica riduzione degli stipendi per i nostri impiegati”, rincara Lauriola. “Abbiamo anche suggerito le soluzioni, ma la confusione del governo e la sciatteria amministrativa dimostrata finora hanno gettato l’intera rete europea nello sconforto. Ci appelliamo al ministro, il tempo rimasto è pochissimo”. Quanto ai dipendenti delle ambasciate nord europee in Italia, tedeschi in testa, si stanno fregando le mani da quel dì. Tutti già felicemente in carico all’Inps.